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Nomine pubbliche, non basta l'autorità del premier Draghi che usa la minaccia delle dimissioni

Angelo De Mattia
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Le decisioni sulle nomine pubbliche adottate dal Governo Draghi ricevono critiche, a seconda dei casi, o dal versante sinistro della coalizione di maggioranza o dal versante destro. Ma, poi, tutto cala nel silenzio. La cosa si ripropone ora con la designazione, da parte del Premier e del Ministro dell'economia, di due componenti del consiglio di amministrazione della Rai destinati, l'una, Marinella Soldi, alla presidenza e l'altro, Carlo Fuortes, alla carica di amministratore delegato. Le cronache sottolineano come queste scelte siano state operate senza in alcun modo sentire i partiti, a testimonianza, innanzitutto, dell'autonomia assoluta delle decisioni del Premier. Non vi sarebbero state trattative con le formazioni politiche anche della maggioranza e, neppure, preventive informazioni sulle scelte.

 

 

In effetti, l'assenza, quanto al Governo, di alternative ha portato a digerire «obtorto collo» anche designazioni non apprezzate, mentre finora è stato incombente lo spettro del possibile ricorso anticipato alle urne che ha spaventato qualche partito e all'interno di alcuni partiti, spettro che, però, sta per sparire avvicinandosi l'inizio del semestre bianco. Ma, posto che Draghi esercita un'attribuzione di propria diretta competenza, come nel caso in questione, il «punctum dolens» sta nel fatto che una tale attribuzione, in generale per le nomine pubbliche, non può fondarsi solo sulla discrezionalità e autorevolezza del Premier. Non sono designazioni che possono essere disposte «iussu principis». Occorre che vengano indicati e resi cogenti criteri, requisiti (professionalità, esperienza, idoneità, onorabilità), vincoli, incompatibilità, prevenzione di conflitti di interesse e di «porte girevoli». Essenziale è anche una valutazione comparativa del merito. Ma di ciò fin qui non si è mai parlato, anche ad opera degli stessi partiti di Governo, mentre Draghi, nel programma a suo tempo illustrato alle Camere per la fiducia, non ha dedicato neppure un fuggevole cenno a questa argomento che invece, nei decenni, è stato l'immagine plastica di deteriori rapporti tra politica ed economia.

 

 

Lottizzazione, «spoils system», infeudamento di imprese ed enti pubblici sono stati fenomeni ormai a tutti ben noti; hanno alimentato quello che è stato chiamato per lungo tempo il «sottogoverno» il quale, a volte, finiva con l'essere il vero Governo. Il famoso «Manuale Cencelli» delle spartizioni di cariche tra formazioni politiche «docet», ancora oggi. I partiti non hanno preteso, come accennato, che si adottasse una regolamentazione del tipo auspicato perché hanno pensato, illudendosi nel caso di questo Governo, di poter partecipare alla «spartizione della torta», con le conseguenze che ora si vedono. È possibile che sulle designazioni, anche questa volta, vi siano differenziazioni nella maggioranza che poi, «more solito», rientreranno. Allora, non sarebbe meglio finalmente porre la questione della necessità di una normativa delle nomine pubbliche che vincoli tutti, anche il Premier e consenta, a nomine effettuate, una valutazione e un sindacato sull'ottemperanza alle stesse norme, anche da parte dell'opinione pubblica, non solo dei partiti e del Parlamento? Questa, sì, sarebbe una riforma straordinaria. Purtroppo finora nessuno l'ha proposta, implicitamente, così, finendo con il giustificare la latissima discrezionalità del Premier che non tollererebbe nemmeno un'autodisciplina normativa nell'interesse della trasparenza e della giustezza delle scelte, nonché della successiva «accountability».

 

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