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M5S e la crisi, la fine è certificata dalla disillusione della gente. I meriti di Mario Draghi

Benedetta Frucci
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Uno dei meriti che la storia riconoscerà a Mario Draghi e ai suoi kingmaker, Sergio Mattarella e Matteo Renzi, è quello di aver demolito non solo il populismo ma anche di averne cancellato in modo sistematico ogni sua traccia.

Le figure chiave del Governo Conte, da Arcuri a Parisi, sono solo un lontano ricordo. I provvedimenti bandiera del grillismo sono stati demoliti pezzo per pezzo: dal Recovery Plan, riscritto in modo organico, alla definitiva archiviazione del cashback, esempio principe dello Stato paternalistico che ammansisce il popolo con il panem et circenses di romana memoria, fino ad arrivare alla riforma Bonafede, l’emblema del peggiore dei populismi, quello giudiziario, che il Consiglio dei Ministri di qualche giorno fa ha definitivamente archiviato. La vera fine del populismo però, la si respira nella società civile e non è soltanto incarnata nella percezione negativa che gli elettori hanno del Movimento Cinque Stelle, ma anche e soprattutto nel rigetto delle loro istanze, a partire dal giustizialismo.

Secondo il rapporto sulla Giustizia dell’Unione Europea, l’Italia è quintultima nel Vecchio Continente per percezione di indipendenza dei giudici: si spiegano così le lunghe coda ai gazebo della Lega e dei Radicali per firmare per i referendum sulla Giustizia.

Referendum che includono fra i quesiti il superamento della Legge Severino, strumento principe delle procure per affossare avversari politici e che è stato la bandiera del giustizialismo nostrano degli ultimi anni, assieme all’ altrettanto deciso quesito sulla carcerazione preventiva, potente arma in mano al partito dei giudici per estorcere confessioni ai tempi di Tangentopoli ma i cui abusi sono evidenti anche dai 37 miliardi che lo Stato ha pagato nel 2020 per risarcire le vittime di ingiusta detenzione. 

Il reddito di cittadinanza, altro strumento chiave di volta del consenso populista, si è dimostrato nei fatti fallimentare: non solo non ha “abolito la povertà” ma ha arricchito mafiosi ed evasori sulla pelle degli indigenti e dei contribuenti. Italia Viva ha annunciato che raccoglierà nel 2022 le firme per un referendum sul sussidio, a cui ragionevolmente aderirà anche il centrodestra.

Così come sarà probabile l’adesione del partito di Renzi a quelli sulla giustizia. Come a dire che ciò che è difficile superare per via parlamentare a causa del peso numerico del Movimento, è cancellabile con un referendum, con quello strumento che, beffa delle beffe, è stato per anni il leit motiv della politica grillina. Passando al fronte del populismo progressista, anche con il Decreto Zan l’inversione di tendenza è evidente.

Il “politici fate schifo” di Chiara Ferragni ha riscosso più critiche che sostegni. La diretta di Fedez con Alessandro Zan ha dimostrato la totale ignoranza del rapper sul testo del provvedimento nonché sulle dinamiche parlamentari, e gli è costata  critiche ma anche qualche followers. Il Pd, con Base riformista, ha finalmente aperto a modifiche sul provvedimento, suggerendo al segretario Letta un approccio più riformista, anziché massimalista. Dopo il Giacobinismo, arriva sempre il Termidoro.
Ps Non ditelo a Marco Travaglio

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