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Festa della Libertà, almeno quest'anno la Sinistra non rovini il 25 Aprile

Riccardo Mazzoni
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“Oggi è la festa della libertà di tutti gli italiani”: le parole del presidente Mattarella hanno efficacemente sintetizzato il significato autentico del 25 Aprile, il giorno della Liberazione dal nazifascismo che per tre quarti di secolo è stato invece teatro di divisioni ideologiche, e soprattutto ostaggio dell’uso strumentale che ne ha fatto a piene mani la sinistra. In nome della propria presunta superiorità politica ed etica, il Pci e i suoi epigoni si sono infatti impadroniti di questa data per affermare una verità storica manipolata, ossia – ed è un ossimoro – che la riconquista della libertà sia stata opera quasi esclusiva dei partigiani comunisti. Per cui, dal dopoguerra agli anni di piombo, fino alla Seconda Repubblica, i cortei celebrativi hanno sempre visto il presidio fisso delle bandiere rosse, con l’ostilità manifesta, spesso sfociata in violenza, nei confronti di tutti gli altri partiti. Basti ricordare la grande manifestazione del ’94, in cui la sinistra inopinatamente sconfitta nelle urne da Berlusconi, utilizzò il 25 Aprile per sfogare la sua rabbia e inaugurare una nuova Resistenza contro il rinascente fascismo capeggiato dal Cavaliere nero, un cartello politico-elettorale che “poteva diluire di molto la qualità della democrazia pur senza arrivare alla dittatura”. Il pericolo di un regime incombente era tale che il primo governo di centrodestra durò appena sette mesi, affondato da un avviso di garanzia al premier (poi assolto) e dalle spregiudicate manovre di Scalfaro dalla tolda del Quirinale.

La sinistra i conti con la storia li ha sempre fatti per gli altri, mai per sé stessa, e forte di questo manicheismo ideologico e culturale non ha mai derogato dal principio per cui quando governano gli altri si diluisce, appunto, la qualità della democrazia. Accadde prima con Craxi, il socialista con gli stivaloni che provò a destabilizzare l’impianto consociativo della Prima Repubblica, poi con Berlusconi e ora con Salvini. Un riflesso pavloviano di cui la gauche italiana non riesce proprio a liberarsi, immemore evidentemente del fatto che per decenni è stata quell’area politica, a lungo foraggiata da Mosca, a negare che il comunismo fosse una deriva totalitaria speculare al fascismo, bloccando così la democrazia italiana con il “fattore k”; e che la demonizzazione del berlusconismo è stata solo il tentativo di mascherare le sconfitte politiche. Questa è stata l'Italia degli ultimi 76 anni: un grande Paese in cui basta un tentativo di riforma della Costituzione sgradito alla sinistra per far risuonare le sirene d’allarme per la democrazia in pericolo.

Ora alla guida del Paese c’è un governo di unità nazionale imposto dalla pandemia, e questa pacificazione forzata, insieme alle restrizioni per il Covid, dovrebbe mettere la sordina alle polemiche e alle provocazioni nei cortei. La vigilia in effetti si è limitata a poche schermaglie. Sarebbe un bel successo se, oltre a sconfiggere la pandemia e scrivere un decoroso Recovery Plan, l’effetto Draghi portasse anche a un 25 Aprile non più vissuto come riflesso delle ideologie dell'odio che hanno segnato il Novecento, ma come “la festa della libertà di tutti gli italiani”. Ma è solo una pallida speranza.

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