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Recovery Fund, i dubbi della Germania su fondo e debito comune

Angelo De Mattia
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Un siluro contro il Recovery Fund lanciato in Germania? Il Parlamento si è pronunciato a larga maggioranza per la ratifica dell'accordo europeo istitutivo del Fondo. Tuttavia, circa 2500 cittadini, coordinati da un esponente di Afd, Bernd Lucke, economista anti-euro, hanno presentato uno dei diversi ricorsi sullo stesso argomento alla Corte costituzionale contro la ratifica, che dovrebbe avvenire con la firma del Capo dello Stato, dell'accordo in questione. La Consulta ha sospeso la sottoscrizione in attesa della sua pronuncia di merito.

La tesi dei ricorrenti si basa sulla non accettazione della comunione del debito tra gli Stati che sarà contratto dalla Commissione Ue per provvedersi delle risorse del Fondo, perché vi sarebbe il rischio che la Germania debba rispondere anche della quota del debito dovuta da altri Paesi e, prima ancora, perché, dovendo l'Unione raccogliere le risorse sul mercato per concedere prestiti e sovvenzioni, ciò significherebbe, secondo i ricorrenti, che non opera con fondi propri, violando così le norme del Trattato dalle quali si ricava il divieto di operare con risorse non sue.

Gli osservatori ritengono che sia molto difficile che la Consulta blocchi definitivamente la ratifica. Tuttavia, vi è il rischio di un allungamento dei tempi con la conseguenza che potrebbe saltare una sorta di cronoprogramma che prevede la possibilità di cominciare ad erogare le risorse del Fondo a partire dal prossimo luglio. Infatti, basta che un solo Paese, dei 27, non provveda alla ratifica per bloccare il procedimento di concessione ed erogazione. E finora, per di più, alla ratifica mancano le adesioni di 11 Stati su 27 (l'Italia ha ratificato).

Quanto al merito del ricorso, é infondato che l'Unione agisca con risorse non proprie perché la raccolta del risparmio avviene proprio con l'impegno giuridico ed economico della stessa Unione che acquisisce così fondi che diventano suoi propri. Ma si sa, per converso, che la Consulta è abbastanza sensibile alla difesa dell'ordinamento interno che non potrebbe essere derogato da normative comunitarie con esso confliggenti. E qui si tocca un punto fondamentale. Se esistesse, anche per gli altri Paesi dell'Unione e dell'Eurozona, un principio dell'ordinamento uguale a quello tedesco, l'integrazione comunitaria, anche molto parziale sinora conseguita, salterebbe. Si pone, comunque, un problema di "par condicio".

Quando si aderì all'Unione sin dalla prima fase fu decisa un'opera, per tutti gli Stati aderenti, di armonizzazione dei propri ordinamenti a quello che si stava definendo per la Comunità. Fu la fase della cosiddetta convergenza legale. Allora, se per un Paese qual è la Germania quest' opera è stata compiuta a metà o è stata del tutto trascurata, si pone un problema che non si può più trascurare nell'ottica della parità delle condizioni giuridiche.

Ciò vale, in particolare, per l'Italia i cui Governi sinora hanno, in generale, omesso di adire la Corte costituzionale anche su Direttive e Regolamenti quando questi confliggevano apertamente con norme costituzionali, come nel caso della Direttiva Brrd sul" bail in" che contrasta frontalmente con la tutela del risparmio di cui all'art.47 della Costituzione. Insomma, quanto sta avvenendo in Germania pone un problema, che si spera superabile, per il definitivo varo del Recovery Fund, anche se si apre una questione di tempestività; ma solleva una più ampia problematica, a maggior ragione dopo la serie di pronunce della Consulta tedesca in tema di rapporti con l'Unione, che riguarda la relazione tra ordinamenti statuali e comunitari. Il Governo italiano non può essere semplice spettatore.

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