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L'uomo che ha provato fino all'ultimo a salvare Luca Attanasio, l'ambasciatore in Congo

Franco Bechis
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Un abbraccio come quello della Madonna nella Pietà. Mentre il respiro stava volando via da Luca Attanasio, l'ambasciatore italiano in Congo ferito a morte ieri in un agguato, non era solo. Lo ha accompagnato quell'ultimo abbraccio, quella mano che stringeva la sua per tenerla in vita. Non so chi fosse quell'uomo che è stato la sua ultima luce. Era con Luca prima che partisse per il viaggio fatale, sulla maledetta strada che attraversa il parco dei gorilla quasi al confine con il Ruanda.

Un collaboratore in ambasciata sicuro. Un amico, dice la disperazione dei suoi occhi, il dolore che paralizza i muscoli del volto. E la dolcezza di quella mano che ancora dona l'ultimo lampo di vita. Ho pensato a lungo ieri prima di decidere di pubblicare questa foto, nascondendo il volto di Luca per rispetto a lui e alla bella moglie Zakia con le loro tre piccole bimbe. Ma il volto di quell'amico, quella mano che stringe e accarezza come Maria raccogliendo ai piedi della Croce suo Figlio (“Tutto lo strinsi, tutto lo chiusi qui, dentro di me” le faceva dire Giovanni Testori nel suo Interrogatorio a Maria), è la Pietà che accompagna sempre l'uomo anche in quel luogo del mondo dove la vita sembra non valere più nulla, troncata da machete e proiettili ogni giorno. 

“Siamo di Dio e a Lui ritorniamo”, scriveva pochi giorni fa Zakia Seddiki Attanasio, il 4 febbraio, quinto anniversario della scomparsa del papà, “che Dio abbia misericordia di te, che Dio faccia che il Paradiso sia con te”. Così sia per Luca. 

È una storia straordinaria quella che ieri hanno raccontato tutti quelli che hanno potuto conoscere questo giovanissimo diplomatico italiano e la sua famiglia. Quella racchiusa nelle poche ed emozionate parole che Luca disse nell'ottobre scorso ricevendo a Licusati insieme alla sua Zakia il premio Nassiriya per la pace: “Fare l'ambasciatore è un po' come fare una missione”. E missione era davvero: Zakia aveva fondato una Ong, la Mama Sofia, che aiutava in quella terra mamme e bambini restati soli ad immaginare un domani possibile. Lo facevano insieme, marito e moglie, e Luca ieri ha affrontato quell'ultimo rischio proprio per una missione: controllare l'efficacia di un programma alimentare pensato insieme alla più grande organizzazione umanitaria affiliata all'Onu, il Pam, per i bambini di uno sperduto villaggio del Congo. Il giorno prima di partire era stato a messa da un missionario italiano proprio ai confini del villaggio dei Gorilla, per abbracciare l'amico: in pochi anni aveva girato molte missioni in Congo, e l'ambasciata italiana per tutti era diventata una casa familiare. Per gli italiani come per i congolesi, che erano abituati anche con stupore a vederlo uscire a piedi con moglie e figli dall'ambasciata anche senza scorta e curiosare fra i banchetti di Festival e manifestazioni che si organizzavano a Kinshasa. Sorrideva sempre come tutta la sua famiglia, ed era amore quello che vedeva intorno anche in tempi difficili come quelli che attraversa quel paese. 

Amore, disperato amore anche negli ultimi istanti di quell'abbraccio di chi lo ha portato in ospedale cercando di afferrare con la mano l'ultimo respiro di vita. Siamo di Dio e a Lui torniamo. Sia consolazione per Zakia ora che il dolore morde lo stomaco e tutto intorno sembra vuoto. Siamo di Dio e da Lui ci ritroveremo. Addio, anzi A Dio,  carissimo Luca.

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