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Mario Draghi non perde tempo: tecnici al lavoro per cambiare il Recovery Plan

Franco Bechis
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L'ultima volta che Mario Draghi parlò ricoprendo un ruolo istituzionale in Italia fu il 31 maggio 2011, con le sue ultime considerazioni finali da Governatore della Banca di Italia. Le chiuse con una domanda: “Perché la politica, che sola ha il potere di tradurre le analisi i leggi, non fa propria la frase di Cavour: '...le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l'autorità, la rafforzano'?”. Ieri mattina esordendo da premier con il discorso sulla fiducia in Senato, Draghi è ripartito proprio da lì: “Il Governo”, ha detto, “farà le riforme, ma affronterà anche l'emergenza. Non esiste un prima e un dopo. Siamo consci dell'insegnamento di Cavour: '..le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l'autorità, la rafforzano'”. Se dieci anni dopo Draghi ha scelto di ripartire proprio da lì, da Cavour, è perché il suo giudizio sul decennio e sulla efficacia delle riforme fatte o annunciate dai vari governi che si sono succeduti è lampante: non è accaduto nulla, e l'autorità della politica da questo nulla è uscita indebolita, non rafforzata. Per intenditori quel gioco sulla citazione di Cavour, ma fa capire come oggi gran parte della politica paralizzata dalla sua inefficacia e dal fiume di parole da cui si avvolgeva, è finita prigioniera nella rete di Draghi. Il premier sa di non essere la scelta naturale in una democrazia che avrebbe dovuto avere ben altre frecce al suo arco. Lo sa, ma non perde tempo a ragionarci su. E' qui per la ricostruzione sulle macerie della pandemia, ma anche su quel nulla che è stata la politica italiana anche davanti a questa emergenza.

Draghi ha parlato in Senato, e riparlato a sera replicando con minuzia a molti interventi. Ha cercato anche da politico non così in erba di accarezzare la pancia di chi avrebbe dovuto poi dargli la fiducia. Lo ha fatto sui temi forti delle forze politiche più incerte: l'immigrazione per la Lega, la transizione ecologica per il M5s. Ma ha messo anche dei paletti altrettanto chiari diretti non solo a quei due: dal passaggio sulla irreversibilità dell'euro (Lega), a quello sulla fedeltà indiscussa al patto Atlantico (M5s e tentazione Cina), fino alla promessa che d'ora in avanti regole e restrizioni arriveranno se necessarie con preavviso congruo e non all'ultimo minuto come è avvenuto sempre con il governo di Giuseppe Conte e anche nelle prime 48 ore di vita del Draghi Uno.

Il discorso di ieri di Draghi è stato già un piano operativo su molti settori e riforme, dettagliate nei particolari (vaccini, scuola e fisco fra le altre), come raramente si può riscontrare nel primo discorso dei vari premier che si sono succeduti fin qui. Ma a fare comprendere la chiave diversa di questo governo e la sua operatività è quel che stava accadendo mentre Draghi parlava a pochi km da quel Senato. Via XX settembre, ministero del Tesoro: un gruppetto di collaboratori del neo ministro Daniele Franco, in missione a Bruxelles, si erano messi intorno a un tavolo iniziando a riscrivere per tutta la giornata quel PNRR del governo Conte di cui loro stessi si erano occupati, però con il solo compito di mettere insieme in modo che non cozzassero l'uno contro l'altro scritti sparsi che erano loro arrivati da Palazzo Chigi e dai vari altri ministeri. Al ministero dell'Economia era statp assegnato un collage da realizzare, ora la missione è cambiata: un piano vero con i suoi crono programmi operativi, in grado di lasciare aperte più opportunità. Una delle quali è proprio la cifra stessa del Recovery Plan, quei 209 miliardi sventolati per mesi come bandiera che forse oggi non sono tutti così necessari come si pensava. Opere e investimenti di portata simile sicuramente sì, perché a questo serve il governo Draghi. Bisognerà però vedere nelle prossime settimane cosa può accadere ancora allo spread e alle prossime aste dei titoli di Stato italiano. Perché se il biglietto da visita del nuovo premier italiano fosse in grado di domare ulteriormente i mercati come è avvenuto nelle prime ore, è possibile che la parte “prestiti” del Recovery Plan non abbia necessità di essere subito attivata, e diventi sostituibile perfino con vantaggio dal ricorso all'indebitamento proprio tradizionale. Potremmo arrivare presto nelle condizioni che erano impensabili di utilizzare nel programma di aiuti europei solo i “grants”, e cioè le somme erogate a fondo perduto. Solo essere arrivati in un lampo a poterne discutere, è una vera svolta.  

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