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Bechis: sbagliato chiudere la porta a Draghi senza sentire cosa propone

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Non sappiamo ancora se Mario Draghi scioglierà la riserva e avrà davvero la possibilità di fare il premier. Non ha una maggioranza precostituita in Parlamento: quella passata è andata in frantumi e c’è il M5s che ancora si aggrappa all’impossibile: un ritorno a palazzo Chigi di Giuseppe Conte. L’ipotesi non sarà mai sulla carta perché se fallisce super Mario si correrà diritti alle urne e Sergio Mattarella darà incarico ad altra persona di fiducia per un governo che giuri solo per portare tutti alle elezioni. Dopo avere capito quasi nulla di politica nell’ultimo mese probabilmente i 5 stelle hanno bisogno di elaborare il lutto, e non è detto che riesca. Anche il centrodestra ha i suoi tormenti, tanto da non avere nemmeno festeggiato la liberazione dal governo di Giuseppe Conte con tutte le macchiette che lo componevano che solo a Natale sarebbe sembrata loro un miracolo.

 

 

Per esponenti M5s e anche per qualcuno nel centrodestra a moltiplicare i dubbi su Draghi ci sono anche argomenti che il nostro Gianluigi Paragone cita nel suo intervento oggi. Concordo con lui che l’elegia del loden che accompagnò Mario Monti a palazzo Chigi nel 2011 sia stata una delle peggiori pagine del giornalismo italiano e che il rischio sul nuovo premier tecnico sia lo stesso. Non è il momento della retorica, che oltretutto non serve a nulla: Draghi come ogni persona ha luci e ombre che hanno accompagnato la responsabilità dei suoi incarichi. Si può discutere di ogni cosa che ha fatto, ci mancherebbe. E si è discusso legittimamente sull’autorizzazione che firmò in Banca di Italia sull’acquisto da parte di Mps della terribile Antonveneta, operazione che si rivelò poi sciagurata anche per l’eccessivo prezzo pagato dall’acquirente. Ma tornare dopo 30 anni per dire no a un premier sulla favola del Britannia mi sembra eccessivo. Era il 1992, e nacque la prima teoria complottista: Draghi, da poco nominato direttore generale del Tesoro, salì il 2 giugno a bordo dello yacht Britannia dove era in corso un convegno sulle privatizzazioni alla presenza di finanzieri inglesi per fare un lungo discorso sul tema che poi fu reso noto. Non poteva prendere impegni a nome dell’Italia, perché non aveva manco idea del governo che il Paese si sarebbe dato: erano passati dieci giorni dall’attentato mortale a Giovanni Falcone, otto giorni dalla elezione alla presidenza della Repubblica di Oscar Luigi Scalfaro, e mancavano ancora 26 giorni alla nomina di Giuliano Amato alla presidenza del Consiglio. La tesi complottista sostenne che su quella barca Draghi svendette l’Italia alla finanza internazionale.

 

A parte i 30 anni passati dall’episodio che non possono inchiodare alcun uomo (quante idee abbiamo cambiato e maturato sia io che Paragone negli anni!), nulla dimostrò questa tesi. Tanto è che nelle privatizzazioni degli anni immediatamente successivi l’unica vera multinazionale che sbucò fu la Nestlè, che si prese qualche merendina che non si capiva nemmeno per quale ragione fosse lo Stato italiano a produrre.

 

I bocconi grossi furono sì privatizzati, ma restarono in Italia. Tanto è che prima Autogrill e poi Autostrade sarebbero finite dai Benetton, mentre il boccone più prelibato - le telecomunicazioni di quella Stet che poi sarebbe divenuta Telecom Italia - sempre italiane sarebbero restate, finendo prima guidate attraverso un misero 0,67% da Fiat, per poi finire anni dopo nelle mani dei «capitani coraggiosi» cari a Massimo D’Alema. Insomma la storia del Britannia è stata sicuramente una fake news, e non ha alcun senso farla emergere oggi dalla polvere per dire no a Draghi. Anche le altre accuse che gli si rivolgono mi sembrano un po’ bislacche. Quando Gianluigi faceva il giornalista sulla stampa, il suo lavoro si giudicava dai risultati di quelle testate. Quando è passato in tv, dagli ascolti delle sue trasmissioni. Poi è diventato parlamentare e il criterio ovviamente è diventato diverso. Posso giudicare la sua attività parlamentare dai risultati delle sue trasmissioni tv? Ovviamente no. Allo stesso modo dire che è un’ombra su Draghi avere salvato l’euro che a Paragone non piace, non dice nulla sull’incarico che ha appena ricevuto. Draghi in quel caso era alla guida della Bce, e avere salvato l’euro nel mezzo della tempesta della speculazione è una medaglia che può solo mettersi al petto avendo quell’incarico. E non è che quello scudo Bce abbia fatto danni all’Italia: non ci fosse stato non saremmo nemmeno qui a discutere del governo del Paese. Ho ascoltato con molto interesse ieri sera Matteo Salvini da Lilli Gruber e secondo me l’atteggiamento giusto da tenere è quello che ha mostrato lui, che ha sulle spalle pure la difficoltà di tenere unito il centrodestra. Non ha senso guardare a Draghi come a un Dio: è stato molto bravo alla guida della Bce, ha mostrato anche doti di governo e di mediazione fra parti difficili, e ha raggiunto gli obiettivi che aveva anche facendo la faccia feroce quando era necessario. Ma non è mai stato alla guida di un esecutivo, e per molti aspetti potrebbe essere un neofita per quanto tecnicamente competente sulle questioni economiche. Però è un italiano che conta nel mondo, perché si è conquistato il prestigio che ha svolgendo in quel modo il suo lavoro. Il minimo dovuto ora è starlo a sentire senza pregiudizi. Valutare le idee che ha per questa missione, sentire il suo cronoprogramma di urgenze ed eventualmente farsi un’idea degli uomini e delle donne con cui pensa di realizzare quei piani. A quel punto si può giudicare se vale la pena dire sì o dire no. Farlo prima di tutto questo semplicemente non è giusto.
 

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