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Ora toccherà al Pd dire "Conte stai sereno"

Francesco Storace
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Certo, faticheranno a mettersi d’accordo dentro al Pd, ma alla fine saranno proprio loro a buttare giù Giuseppe Conte dal trono.

Perché hanno sopportato troppa inconcludenza, mancanza di ascolto, supponenza: non c’è disegno politico a Palazzo Chigi se non quello di durare. A prescindere.

E quella che Pierluigi Bersani appellava come La Ditta è costretta a prendersi gli sberleffi sul muso. Il più delizioso, su twitter, glielo ha dedicato Antonio Polito: «Gli unici volenterosi che Conte ha trovato finora sono quelli del Pd».

Insomma, Conte stai sereno. Il marchio è di Matteo Renzi, ma deve essere rimasto in dote ai dem. Perché Zingaretti e soci – guai a chiamarli compagni – hanno creato un mostro. Efficace l’affresco di Giorgia Meloni: «Nella prima Repubblica i partiti cambiavano i presidenti del Consiglio. Conte invece cambia i partiti e resta presidente del Consiglio». E oggi al Senato gliele canterà Matteo Salvini, che non vede l’ora di prendersi la rivincita.

Ieri sera Zingaretti ha gelato la maggioranza con una battuta, che poi hanno tentato di ridimensionare un po’. Ma è quello che aleggia nel corpaccione del partito: «La strada è strettissima, per me è veramente stretta, molto di più di quanto ci si immagini. Non possiamo in prospettiva accettare di tutto». Dopo Renzi, chi? La Polverini...

Il segretario del Pd si è levato di torno l’impertinente ex presidente del Consiglio, ma sa che i suoi vivono con angoscia quello che potrà succedere con una maggioranza raccogliticcia. Quel che non vale più nei Cinque stelle sarà Vangelo con i «responsabili» in agguato: uno vale uno e soprattutto pesa per uno. Pagare moneta, vedere cammello.

Dice Zingaretti con lo stesso tono affranto di quando giurava di non voler fare mai alleanze con i grillini: «Io ho fatto di tutto in questi giorni anche coinvolgendo non solo la direzione ma livelli diversi del partito. Ma questa situazione, nonostante quanto si dica, è molto complicata. Abbiamo fatto davvero di tutto per dare udienza e ascolto alle idee di tutti i nostri alleati. Il quadro che ne traggo è di una situazione che è diventata all’improvviso molto complessa». 
Come si andrà a finire con una maggioranza risicata e per nulla omogena, è il non detto. Chiedevano il «patto di legislatura», i dem, e Conte ne ha accennato perché tanto non costa nulla.

Le reazioni in casa Pd al «patto» sono le più diverse. Andrea Orlando, che vuole fare il ministro: «Conte ha dato una fisionomia politica alla coalizione, è la prima volta, come coalizione degli europeisti e antisovranisti». Quindi Conte lo ha detto.

Il vicecapogruppo alla Camera Michele Bordo, che sa che il ministro non lo farà: «La maggioranza - ha aggiunto - dovrà finalmente diventare una coalizione politica». Quindi Conte non lo ha ancora fatto.

Tommaso Nannicini, che sa che è inutile pensare ad andare al governo: «Diciamo che se il Pd chiede da tempo una svolta e un rilancio dell’azione di governo, come ha sottolineato anche Zingaretti nella nostra direzione, qualcuno deve essersi scordato di ricordarlo a Conte prima del suo intervento alla Camera». Quindi, scordiamocelo.
E ancora, ci mette il suo Giorgio Gori, sindaco di Bergamo: «Immolarsi per Conte, con la prospettiva che si faccia un suo partito e mandi il Pd al 13%, forse non è una grande idea». Amen.

Voci minoritarie, le ultime? Forse, ma è il pensiero che attraversa le varie anime del partito di Nicola Zingaretti. Finora hanno digerito troppo. L’alleanza con i grillini, che non ha portato neppure risultati elettorali nelle regioni dove si è votato correndo assieme. Un premier che si chiude col suo cerchio magico senza rispondere a nessuno. Ora la mossa di Renzi, probabilmente rischiosa, ma non è che il Pd possa dire di non saperne nulla vista la grande condivisione dei giudizi sprezzanti del leader di Italia Viva, perlomeno in privato.

Certo, l’alternativa sono le elezioni anticipate, ma come dice uno dei più bravi parlamentari del Pd, «il problema è se ci si arriva vivi o morti. E non è che per Franceschini al Colle possiamo regalare il nostro elettorato a Giuseppe Conte». Le calcolatrici fanno i conti, gli uomini li regolano.
 

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