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La mossa di Conte irrita Mattarella

Angela Barbieri
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La rottura è ormai alle porte. Il premier Giuseppe Conte prende posizione e sfida apertamente Matteo Renzi. È già in tarda mattinata di ieri che da palazzo Chigi filtra una velina al vetriolo: «Se Renzi si sfila, nessun nuovo esecutivo con Italia Viva sarà possibile». Chiusa la trattativa, l’avvocato pugliese è pronto a procedere con il sostegno di un’altra maggioranza, con favore quindi di una manciata di responsabili pronti a sostituire i renziani. Una mossa che ha l’effetto di irritare il Colle, che tutto vuole tranne che una maggioranza raccogliticcia.

A palazzo Madama si apre la caccia ai responsabili, ma da Forza Italia si conferma la fedeltà alla coalizione di centrodestra e anche i centristi ribadiscono di essere fuori dai giochi. L’ipotesi «responsabili» si potrebbe concretizzare solo dopo l’uscita di Renzi dalla maggioranza e solo al momento di un voto in Parlamento. Il Partito democratico pressa per un accordo: «L’urgenza è quella di dare risposte concrete all’Italia. Questa maggioranza può farlo - rimarcano - Confermiamo la nostra contrarietà all’apertura di una crisi che ora, tra l’altro, impedirebbe l’approvazione del decreto ristori e gli aiuti per tanti italiani, per tante imprese e piccole attività in difficoltà».

Di altro tenore le dichiarazioni del M5S che sposano la linea del premier del «dentro o fuori». Dopo giorni di silenzio si alza la voce di Alessandro Di Battista: «Io credo che se i renziani dovessero aprire una crisi di governo reale in piena pandemia, nessun esponente del Movimento dovrebbe mai più sedersi ad un tavolo, scambiare una parola, o prendere un caffè con questi meschini politicanti. Figuriamoci farci un altro governo insieme».

Bisogna comunque poi fare i conti col Quirinale. Un governo sostenuto dai «responsabili», per giunta in extremis, senza una visione e senza un programma politico non può che far preoccupare il presidente Mattarella. Una maggioranza frammentata, fondata sulla sola volontà di evitare le elezioni, quale tenuta e soprattutto quale durata può avere? È la domanda che il capo dello Stato si fa nelle ore più calde della crisi del Conte 2. Mattarella resta comunque alla finestra. Non è questo il momento della sua entrata in scena, che sarà indirizzata sempre da quanto è scritto dalla Costituzione. Il ragionamento è semplice e segue di fatto quelle che sono le rigide procedure e non le volatili decisioni politiche: finché Conte avrà la fiducia delle Camere, con o senza Italia Viva, e porterà a Mattarella una maggioranza il capo dello Stato non si opporrà. Non è però prerogativa del Colle rifiutare un premier sostenuto da un numero consono di voti parlamentari, anche se solo per sopravvivere. E il precedente illustre esiste e in queste ore sembra calzare a pennello. Nel novembre 2010 Futuro e Libertà, guidato da Gianfranco Fini, lascia il governo di Silvio Berlusconi. Il leader dell’allora Casa delle Libertà prosegue per la sua strada, approva la finanziaria e incassa la fiducia in parlamento imbarcando nel suo esecutivo i «responsabili», primo fra tutti Domenico Scilipoti. In quel caso Berlusconi neanche aprì la crisi formalmente e Giorgio Napolitano rimase inattivo. La storia racconta che Berlusconi rimase in sella fino al novembre 2011 quando la sua maggioranza si sfaldò rovinosamente, con uno spread a 560. Un precedente illustre, certo, che però non preclude altre strade.
 

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