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La pandemia rossogialla ha già causato più danni del coronavirus

Riccardo Mazzoni
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Mai si era vista una crisi di governo avvitarsi su sé stessa prima ancora di essere formalizzata, eppure gli italiani già alle prese col Covid sono costretti ad assistere anche a questa pandemia rossogialla, chiamiamola Contid, che ha già causato danni incalcolabili al Paese. Per questo appaiono del tutto surreali i retroscena che piovono quotidianamente dal Quirinale, secondo i quali non ci sono alternative a questa maggioranza in quanto qualsiasi altra formula non potrebbe rispondere ai requisiti di omogeneità e coesione sul programma che il Capo dello Stato ritiene irrinunciabili, soprattutto nel mezzo di una crisi epocale. Quindi, l’unica soluzione praticabile sarebbe quella di un rimpasto o al massimo di una crisi pilotata per tenere in piedi il carrozzone rossogiallo con lo stesso premier alla guida.

Ma se così davvero fosse, saremmo di fronte a un accanimento ingiustificato e ingiustificabile, perché anche quando nacque l’attuale maggioranza dopo il pronunciamento del Papeete Mattarella pose un paletto preciso, facendo capire che non avrebbe mai dato il via libera al Conte bis senza che fosse concreto e visibile un credibile progetto politico con l’orizzonte di portare a termine la legislatura. La Maginot indicata dal Colle avrebbe dovuto costituire dunque un argine invalicabile: non basta avere i numeri in Parlamento, ma bisogna soprattutto dar vita a una coalizione in grado di governare. In mancanza di requisiti, la strada maestra è quella delle elezioni anticipate.

Ebbene, riavvolgendo il nastro degli ultimi sedici mesi, è lampante però che quel paletto è saltato praticamente subito, tanto che tutti i dossier cruciali – Ilva, Alitalia, Autostrade, Mps, crisi aziendali, infrastrutture – sono rimasti sospesi, all’insegna della confusione e dei compromessi al ribasso, come il taglio dei parlamentari ancorato a una nuova legge elettorale mai varata e l’abolizione della prescrizione, sui quali gli alleati si sono colpevolmente inchinati ai diktat dei Cinque Stelle. Il secondo governo Conte si è connotato a tutti gli effetti, insomma, come un governo «salvo intese», drammaticamente inadeguato ad affrontare una crisi sistemica aggravata dalla pandemia. Le due leggi di bilancio approvate in extremis, e sommerse da migliaia di emendamenti presentati dalla stessa maggioranza, col rischio dell’esercizio provvisorio scongiurato solo dalla responsabilità delle opposizioni, sono il marchio distintivo di una deriva sempre più insostenibile. Come dimostra la totale incapacità di presentare un Recovery Plan che non sia la solita babele di progetti riciclati e un’accozzaglia di sussidi a pioggia, ma un volano di investimenti per far ripartire il Paese.

In queste ore va in scena l’ennesimo, ma forse non ultimo atto di questo teatrino: Renzi riunisce nottetempo lo stato maggiore di Italia Viva su Zoom, le sue ministre continuano ad annunciare mezze dimissioni, Conte lancia improbabili messaggi da libro Cuore su Facebook, in attesa di un decisivo Consiglio dei ministri che dovrebbe approvare il Recovery Plan prima di spedirlo in Parlamento, e prima di procedere a un rimpastino propedeutico a un nuovo – improbabile e grottesco - «patto di legislatura». Sono passati ventotto giorni dall’inizio ufficiale della verifica di governo, datato 14 dicembre, quando Conte convocò a Palazzo Chigi le delegazioni di Cinque Stelle e Pd, ma non è stato ancora trovato uno straccio di accordo, mentre il virus dilaga mietendo ancora morti, le scuole non riaprono e la lista delle 300 mila imprese chiuse nel 2020 rischia di allungarsi drammaticamente, con l’incubo della bomba sociale pronta a esplodere a marzo quando finirà il blocco dei licenziamenti. Dell’omogeneità e della coesione richiesti dal Colle non si vede traccia, però Conte tira a campare e sta per prolungare di sei mesi lo stato d’emergenza. Qualcuno che può gli faccia capire, per carità di Patria, che dopo il Covid è il suo governo la prima emergenza nazionale.
 

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