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Crisi di governo, la difesa di Conte da parte di D'Alema umilia il popolo

Andrea Amata
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Il leader Maximo, alias Massimo D'Alema, in un colloquio con la Repubblica analizza la crisi di governo con la consueta saccenza, sostenendo di non credere che «possa passare per la mente di nessuno l'idea di mandare via da Palazzo Chigi l'uomo più popolare del Paese per fare un favore a quello più impopolare». Per l'ex premier D'Alema la medaglia della popolarità se l'aggiudica Giuseppe Conte, mentre l'attestato dell'impopolarità è riservata a Matteo Renzi. 

Oggi D'Alema è un iscritto di Articolo Uno, il movimento fondato da Pierluigi Bersani e Roberto Speranza, che si richiama all'incipit della Costituzione: quello che attribuisce la sovranità al popolo. Per chi si identifica con il primo articolo della Carta costituzionale diventa paradossale sostenerne la negazione politica che si materializza nel premier Conte, essendo una figura priva dell'investitura popolare. Conte è estraneo alla sostanza politica dell'espressione democratica e D'Alema nel perorarne la permanenza a Palazzo Chigi si dimostra infedele a quel principio di sovranità a cui si dichiara affiliato con la militanza in un partito denominato Articolo Uno. Inoltre, accreditare a Conte primati di popolarità, oltre ad essere un'affermazione infondata, considerando i disastrosi effetti economici della gestione dell'emergenza sanitaria, è fuorviante per la razionalità politica. Il concetto di popolarità è spendibile in un televoto per le nomination del Grande Fratello Vip, ma non può essere elevata la categoria della popolarità a fattore di indirizzo di una crisi di governo. 

Puoi essere anche popolare, nel caso di Conte escludiamo un gradimento di massa, ma ciò non ti autorizza a perpetuare lo svilimento delle forme della democrazia parlamentare o a programmare l'utilizzo degli ingenti fondi europei senza una visione generale o a gestire lo stato di emergenza con il pressapochismo dei dilettanti. E a coloro che pensano di narcotizzare lo scrutinio critico delle azioni del governo, con l'intimazione ad essere responsabili in tempo di pandemia, occorre replicare con fermezza che è da irresponsabili assistere passivamente all'agonia del Paese, mantenendo intatto un assetto di governo bocciato su tutti i fronti: quello sanitario, economico, scolastico, etc. L'appello ieratico alla responsabilità, per conservare l'attuale inettitudine di governo, si sta rivelando un escamotage dialettico privo di plausibilità. Ci sono ambienti di retroguardia che osteggiano forme di discontinuità politica e propendono per la stabilità del Conte bis, che tuttavia coincide con la semplice staticità di un sistema di potere improduttivo per gli interessi generali. 

Chi si oppone ad una verifica parlamentare, temendo una strettoia politica al buio, è ipnotizzato da una narrazione dissociata dalla realtà, perché il Paese reale è già inabissato nel crepuscolo di una crisi gravosa. Il senso di responsabilità dovrebbe suggerire a tutti di estromettere la precarietà e l'ambiguità politica dalla prospettiva istituzionale: due debolezze che il premier Conte concentra nella sua persona e che non ci possiamo permettere.
 

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