Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Recovery Plan, la crisi di Renzi è già finita: aveva solo scherzato

Carlantonio Solimene
  • a
  • a
  • a

Dopo settimane sull'orlo di una crisi di governo, l'incontro per discutere del Recovery Plan tra il premier Conte e la delegazione di Italia Viva (senza Matteo Renzi) si conclude con una tregua natalizia.

I rappresentanti dell'ex «rottamatore» brindano alla cancellazione della «task force» inizialmente immaginata dal premier per gestire i fondi europei e parlano di «svolta», tralasciando gli altri nodi che Renzi aveva posto come dirimenti per la prosecuzione dell'avventura di «Giuseppi» a Palazzo Chigi, dalla rinuncia alla delega ai Servizi al via libera al Mes per arrivare alla riforma del bicameralismo. Insomma, a conti fatti evidentemente non erano condizioni capestro.

Certo, bisognerà capire se e come la tregua sarà destinata a proseguire anche a gennaio. Il «se» è legato all'eventuale riequilibrio della compagine di governo dopo aver licenziato la manovra. A parole nessuno vuole il rimpasto, nei fatti tutte le forze di maggioranza stanno studiando come avvantaggiarsene. Magari anche solo inserendo due vicepremier (di Pd e M5s) per limitare le tentazioni soliste di Conte. Il «come», invece, riguarda i rapporti tra gli stessi partiti, ormai ridotti ai minimi termini a causa tanto dell'incapacità di Conte a fare da mediatore, quanto della «crisetta» minacciata da Renzi. Ieri, dopo che le acque si erano calmate, al rottamatore sono arrivati gli strali del M5s ma anche quelli del Pd, con i ministri Amendola e Boccia pronti a rintuzzare punto per punto le conclusioni del vertice così come erano state raccontate dalla Bellanova. Insomma, se è questa squadra di parenti serpenti a dover trascinare l'Italia fuori dal pantano, le prospettive appaiono complicate. Che si andasse verso una schiarita lo si era capito dalle parole di lunedì del presidente di Italia viva Ettore Rosato, capace di passare in un giorno da «fiducia in Conte compromessa» a «segnali positivi».

Al termine delle due ore di vertice di Palazzo Chigi la ministra Teresa Bellanova ha completato la giravolta: «La task force non c'è più» ha esordito citando il tema più «divisivo». «In più ci hanno mostrato documenti, progetti e cifre che non avevamo ancora visto. Adesso li analizzeremo e prepareremo il nostro contributo». L'iter teorico dovrebbe prevedere per lunedì l'arrivo a Palazzo Chigi della lista dei desiderata di tutti i partner della maggioranza. Nei giorni successivi si aprirebbe immediatamente il tavolo per trovare la sintesi e approvare un piano di massima entro il 31 dicembre in Cdm. Poi ci sarebbe un passaggio in Parlamento in tempi stretti e la presentazione del Reconvery alla Commissione Ue a febbraio. Co munque in grande ritardo rispetto alle premesse di questo autunno. Fin qui la teoria. La pratica però rischia di rivelarsi assai più complicata. Perché i nodi restano tutti. A partire dalla task force, che per i renziani sparita mentre per il ministro Enzo Amendola «è l'Europa stessa che ce la chiede, poi sta a ogni Paese deciderne la composizione». E, da questo punto di vista, dopo la sortita renziana la struttura dovrebbe perlomeno avere il suo centro operativo nei ministeri e non più tra manager e consulenti esterni. Infine, il nodo dei rapporti. non c'è il futuro del rottamatore, un fuoriclasse che troppo spesso si dribbla da solo, e che ha accumulato due colpe capitali: tenere in sella Conte e i Cinque Stelle assetati di potere, che hanno trasformato la protezione dei più deboli nella garanzia dei più furbi, e prima di mollare il loro personale reddito di cittadinanza parlamentare sono disposti a tutto. Lo statalismo del Pd, unito al paternalismo del premier, ha fatto il resto, originando la tempesta perfetta che comprometterà il futuro del Paese attraverso una pioggia di sussidi, senza nessuna attenzione agli investimenti pro duttivi. Ieri è andato in scena un battibecco piccatissimo tra il ministro Boccia e Italia viva. Per il primo «prima di parlare bisognerebbe informarsi. Renzi ha detto che per la sanità nel Recovery c'erano solo nove miliardi, invece erano 15. Sempre pochi, ma non nove».

Durissima la replica del partito dell'ex premier: «Boccia conta come fondi per la sanità i sei miliardi per l'effi cientamento energetico? Vorrà dire che si farà operare da un pannello fotovoltaico». E se il clima natalizio stempererà per qualche giorno le tensioni, nel 2021 il governo rischia di tornare a vacillare pericolosamente. Perché le minacce di Franceschini («se Conte cade c'è solo il voto») dovranno fare i conti non solo con l'incombente semestre bianco. Ma anche con il fatto che in piena pandemia e con la tentazione di rinviare le amministrative all'autunno, nessuno ritiene realmente plausibile celebrare le elezioni Politiche a stret L'ideologia che è da sempre nel dna delle sinistre resta infatti nettamente contraria all'iniziativa dei privati e delle imprese, e il Pnrr - acronimo orribile del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che rende però bene l'idea di quanto sta per accadere - non potrà che essere dettato da un'impostazione statalista, moltiplicando co si il debito cattivo da cui ha messo in guardia Draghi. Non sarà certo un rimpasto, dunque, o qualche altro ritocco cosmetico, a mettere il turbo a una maggioranza capace solo di navigare a vista, e perfino di approvare un Recovery Plan «salvo intese».

Dai blog