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Sbarchi, il picco da luglio. Anche la ministra Lamorgese ammette: "Invasi dai migranti"

La ministra dell'Interno in commissione Affari Costituzionali: "Nel corso dell'anni sbarchi aumentati. La situazione aggravata dal Covid"

Pietro De Leo
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Un’Italia incastrata tra l’incudine dell’Europa immobile e il martello, battente, di flussi migratori evidentemente inarrestabili. E’ questo il quadro che, al di là delle intenzioni, emerge dall’audizione del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese che si è svolta ieri in Commissione Affari Costituzionali alla Camera. Al centro del tavolo, il decreto immigrazione.  

La titolare del Viminale evidenzia: “nel corso di quest’anno abbiamo registrato un aumento dei flussi migratori, alla data del 15 novembre abbiamo circa 32 mila arrivi, di cui gran parte di nazionalità tunisina, pari al 38,7% del totale. Il problema, però –aggiunge- non è l’entità dell’incremento quanto piuttosto il fatto che gli arrivi si verifichino nel pieno dell’emergenza Covid, il che rappresenta un fattore di complicazione per tutti gli Stati ma in particolar modo per i Paesi geograficamente più esposti alla pressione migratoria come l’Italia che è frontiera esterna dell’Unione Europea”.

Certamente il Covid ha peggiorato l’impatto, come era prevedibile e previsto. Ma basta andarsi a leggere il grafico del cruscotto statistico giornaliero del Viminale per cogliere come l’impennata più incisiva degli sbarchi si sia verificata da luglio in poi, anche in concomitanza del momento in cui il governo ha cominciato a parlare dello smontaggio dei decreti immigrazione voluti da Salvini ministro dell’Interno. Che smontare quella normativa potesse costituire un “pull factor”, ossia un fattore di richiamo per nuovi sbarchi, era stato a lungo paventato, ma purtroppo ora la prospettiva è confermata dai numeri. Tuttavia, Luciana Lamorgese difende il nuovo decreto concepito dal centrosinistra. “Il complesso di misure dispiegate - osserva - è volto a coniugare la priorità di tutela della salute pubblica in un quadro che tiene conto degli obblighi del nostro Paese in materia di protezione internazionale del migrante”.

L’obiettivo della salute pubblica appare discretamente messo in discussione in una fase nella quale il servizio sanitario nazionale è pesantemente sotto stress dal Covid e dinamiche come l’affollamento del centro di Lampedusa di certo non contribuiscono un fattpre tranquillizzante, specie per chi è in prima linea come gli agenti di polizia, e ci sono ripetute esternazioni dei sindacati su questo. Altro capitolo, poi, riguarda il contesto mediterraneo immediatamente prossimo all’Italia e quello europeo. Andiamo con ordine. Sul primo punto, Lamorgese ha ricordato  come i numeri significativi di arrivi “da Paesi sicuri come Tunisia e Algeria dimostrano che siamo di fronte ad un fenomeno di immigrazione economica, collegata alla pandemia e alla fragilità dei sistemi economico-sociali di quei Paesi. Non a caso le partenze hanno interessato anche fasce della media-piccola borghesia o interi nuclei familiari, sulla spinta di una motivazione che seppur comprensibile da un punto di vista umano non può dare titolo ad una permanenza regolare”.

L’altro aspetto è quello europeo, dove il nuovo patto comunitario è “un atto importante ma abbiamo fatto dei rilievi perché ancora non vede quegli aspetti di riforma di Dublino da noi auspicati, soprattutto in merito agli impegni degli Stati di primo approdo”. E ha aggiunto: “Sappiamo che la Commissione intende approvarlo rapidamente ma lo sforzo negoziale dell’Italia è orientato nel prevedere il maggior spazio possibile per meccanismi di solidarietà e di redistribuzione obbligatoria, anche se non completamente riferibile a tutti i numeri che sono oggi arrivati, ma è necessario che ci sia una solidarietà da parte di tutti gli Stati europei nei confronti degli Stati di primo ingresso, su questo abbiamo fatto una nota congiunta con Spagna, Grecia, Cipro, Malta”. Bene senz’altro che i Paesi mediterranei abbiano trovato una sinergia d’azione. Male, però, confidare in tempi rapidi in un meccanismo di condivisione dello sforzo è a dir poco illusorio.

La commissione Juncker non c’è riuscita in cinque anni, stante un contesto di crisi minore di quello attuale. Attualmente, la partita migratoria in campo europeo (dove il blocco di Visegrad e l’Austria hanno sempre espresso contrarietà sugli automatismi) per quanto riguarda gli equilibri politici non può non intrecciarsi con lo scenario complesso del Recovery Fund, al momento in una fase di stallo. Nello scenario africano, poi, non si può prescindere né dall’attivismo di Erdogan in Libia né dall’escalation nel Tigray. Tutti fattori che potrebbero alimentare nuovi spostamenti. E che indicano quanto aver modificato i decreti sicurezza sia stata una scelta sbagliata. 

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