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Referendum, con il "Sì" vince solo la Meloni

Franco Bechis
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Se - come gran parte degli indicatori direbbero - la riforma costituzionale che taglia i parlamentari da 945 a 600 dovesse essere approvata dal referendum del prossimo 21 settembre, il giorno dopo ci sarebbe un solo leader politico in grado di festeggiare: Giorgia Meloni.

La sola forza politica che con quel taglio e le percentuali che oggi assegnano i sondaggi di opinione potrebbe aumentare rispetto ad oggi la propria consistenza parlamentare è infatti Fratelli di Italia, che è in grado quasi di raddoppiare rispetto ad oggi la propria rappresentanza parlamentare. Tutte le altre forze politiche non riuscirebbero invece a portare in Parlamento l’attuale squadra di rappresentanti: per alcuni ci sarebbe una vera e propria strage di eletti, per altri un pizzico meno ma tutti comunque dovrebbero rinunciare a qualcuno che oggi siede nei banchi della Camera e del Senato. Naturalmente i calcoli precisi si potranno fare conoscendo anche la nuova legge elettorale. L’orientamento prevalente però è quello di approvare un modello sostanzialmente proporzionale, corretto a seconda della soglia di sbarramento che verrebbe scelta. È un tema spinoso, perché alle forze maggiori oggi in Parlamento e anche a Fratelli d’Italia converrebbe una soglia alta che farebbe arrivare a loro un premio di maggioranza, ma nelle fila di chi sostiene il governo rischierebbero di non farcela né Matteo Renzi con la sua Italia Viva né Roberto Speranza con Leu, oltre ad altre forze minori. Con una legge proporzionale e una soglia molto bassa nel nuovo parlamento tagliato il Movimento 5 stelle perderebbe nelle condizioni attuali quasi due terzi dei propri eletti, il Partito democratico fra il 15 e il 20% dei suoi attuali rappresentanti (che già hanno sofferto della scissione renziana) e Forza Italia quasi la metà degli attuali gruppi parlamentari. La vera sorpresa però arriverebbe dalla Lega, che oggi può contare su 190 seggi nei due rami del Parlamento. Matteo Salvini che aveva fatto crescere in modo esponenziale i suoi consensi dopo il voto del 2018, nell’ultimo anno ne ha lasciati parecchi per strada, ma resta accreditato di percentuali molto superiori a quelle ottenute alle ultime politiche. Anche queste però dopo il taglio dei 230 parlamentari non consentirebbero di riportare in caso di elezioni politiche in Parlamento tutti quei 190 leghisti. Perderebbero il posto a seconda degli ultimi sondaggi fra 25 e 50 di loro, e non è piccola pietra di inciampo. Quindi con la sola eccezione della Meloni anche tutto il fronte del sì al referendum si farebbe hara-kiri con quel voto, ed è presumibile che per questo motivo nelle settimane che ancora ci separano dal voto possa crescere almeno dentro al Palazzo il dissenso dai propri leader e di conseguenza la truppa del fronte del No.

 

 

 

Difficile valutare oggi quanto questo fronte possa incidere poi sull’elettorato reale. Le ultime rilevazioni di opinione pubblica effettuate danno il "Sì" al taglio ampiamente in vantaggio, con percentuali che a seconda degli istituti oscillano fra i due terzi e i tre quarti degli elettori. Molto però dipenderà dalla affluenza effettiva, e la paura del contagio in quei seggi potrebbe fare la parte del leone rendendo i numeri più ballerini di quel che ci si immagina.
Le conseguenze di quel voto in caso di conferma del taglio dei parlamentari però sarebbero rilevanti per la durata della legislatura. Se solo la Meloni è certa di portare in Parlamento tutti gli attuali eletti, è evidente che nelle fila degli altri gruppi parlamentari saranno grandissime le resistenze a fare terminare anticipatamente l’attuale legislatura e molto forte al contrario la tentazione di resistere al proprio posto fino all’ultimo giorno possibile nel 2023, andando ben oltre l'elezione del prossimo presidente della Repubblica.
 

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