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Giuseppe Conte ipoteca l'Italia per 30 anni. Bisogna chiedere l'ok agli italiani

Franco Bechis
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Questa volta Rocco Casalino l'ha davvero sbagliata. Se è sua l'idea di comunicazione, era davvero difficile trovare slogan peggiori di quelli lanciati da Giuseppe Conte nella sua ultima conferenza stampa a palazzo Chigi. Dagli “Stati generali” dell'economia che sanno di muffa e congressone all'incredibile “Piano di rinascita” italiano per cui dovrebbe pagare il copyright a Licio Gelli. Nella strategia di comunicazione al centro c'è un solo obiettivo: quello di accrescere il potere di Conte già cresciuto a dismisura negli ultimi tre mesi in cui ha accentrato nelle sue mani ogni leva. Ma al di là della sgradevolezza dei termini, proprio in questo sta tutto il problema davanti a cui ora non può chiudere gli occhi il Capo dello Stato, Sergio Mattarella che ben conosce i limiti del potere e i passaggi obbligati di una democrazia. Da tre mesi la democrazia in Italia è in lockdown, che tutt’oggi è assai poco allentato. Noi siamo più liberi di muoverci, è vero. Ma il potere resta tutto in quelle sole mani che per altro condividono assai poco anche con la maggioranza che sostiene il governo.

A leggere ieri i margini lasciati dall’esecutivo alla libertà di Camera e Senato sul decreto rilancio sembra che questo colpo di Stato strisciante non abbia fine: i parlamentari possono fare proposte migliorative e cambiare un comma o un altro, ma a disposizione dall'esecutivo hanno al massimo modifiche su 800 milioni di euro. Il che significa che Conte & c decidono senza discussione il 98,55% della destinazione di quei 55 miliardi e il Parlamento è libero di contribuire con le sue scelte solo sull’1,45% di quelle somme. Cioè non ha alcuna libertà.

Pessimo nome di battesimo, ma in sostanza il Piano di rinascita dovrebbe essere quello che impegna i prossimi 30 anni degli italiani facendo debiti e scelte che vincoleranno generazioni di italiani e nella migliore delle ipotesi 6 governi successivi (sempre che ce ne siano così tanti che consecutivamente restino in carica l’intera legislatura). Non stiamo parlando quindi di tamponi urgenti alle falle causate ora dai decreti di chiusura all'economia italiana. Ma di un piano decennale in cui vanno compiute scelte irreversibili di un tipo o di un altro per il futuro dell’Italia. Su queste non si può fare finta di nulla e consentire che un premier che non ha ricevuto un solo voto di un elettore italiano e una maggioranza costituita da partiti (Pd e M5s) che per prendere quei voti si sono fatti una guerra stile Vietnam di fronte all'elettorato che li mandava in Parlamento decidano ora il futuro degli italiani per decenni. Su questo non può non porsi un tema di democrazia.

 

Queste scelte non possono che essere fatte dagli italiani. E ci sono due soli modi per farlo. Il primo è quello di coinvolgere tutte le forze politiche su un piano che non deve essere contestato da nessuno, esattamente come accadrà grazie al diritto di veto di paesi e Parlamenti nazionali sulla nascita stessa di Next Generation, il piano di ricostruzione che sta elaborando non senza fatica la commissione europea. Il secondo modo sarebbe quello più naturale: chiederlo agli italiani per ottenere un mandato popolare che rafforzi quel piano e ne definisca le caratteristiche.

Il Capo dello Stato si è mosso sulla falsariga della prima ipotesi, ma è evidente che non basta un appello alla concordia nazionale, perché detto così avrebbe la ovvia fragilità di un invito a volersi bene che in politica è pure grottesco (non si vogliono bene, inutile insistere). Ma il Quirinale quella unione più che invocarla dovrebbe oggi guidarla e facendo uso della cosiddetta moral suasion renderla realtà, almeno in quel passaggio delicato che sarà l’ipoteca sui prossimi 30 anni degli italiani. Quella ricostruzione del paese deve essere condivisa senza alcuna eccezione, e se le contrapposizioni non saranno sanabili (frange green contro frange dei cantieri per fare un esempio), non c’è altra strada che chiedere a chi ha il diritto di decidere: gli elettori.

Questo passaggio è ancora di più necessario se vediamo la confusione che accompagna il quadro economico italiano in questi mesi, in cui si nascondono anche i dati fondamentali del paese. Nelle ultime 48 ore Eurostat ha pubblicato due serie rilevanti per capire quello che sta accadendo in Europa: i dati di aprile sulla disoccupazione, e per lo stesso mese anche quelli sulle vendite al dettaglio. Leggendo i primi l’Italia sarebbe campione d’Europa: disoccupazione crollata dal 10,2% al 6,3% in un anno, e di quasi tre punti da febbraio. In un mese solo un quarto dei disoccupati non lo è più (stiamo parlando di 500 mila persone). Ed è il solo dei 28 paesi europei in cui tutto questo sarebbe accaduto. Ovviamente non è accaduto: i disoccupati sono nascosti dalla pioggia di redditi di cittadinanza e nuovi ammortizzatori inventati e quindi sono finiti ad ingrassare i milioni di "inattivi". Quanto alle vendite al dettaglio che sono crollate in tutta Europa in maniera traumatica per alcuni settori, l’Italia semplicemente è il solo paese su 28 a non avere fornito i dati degli ultimi mesi, tenendoli per sé "confidenziali". Piccoli trucchi e pasticci, che rendono anche per questo urgente una stampella democratica al governo Conte.

 

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