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Napolitano contro Berlusconi? Nessuna sorpresa, ormai è storia

Luigi De Magistris

Riccardo Mazzoni
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Hanno fatto molto scalpore le rivelazioni dell’ex pm De Magistris, che ha candidamente ammesso, in colpevolissimo ritardo, che finché indagava su Berlusconi ebbe il plauso non solo dei vertici della magistratura, ma dello stesso Quirinale allora occupato da Napolitano. Ora, che il «partito delle procure» abbia costantemente congiurato per eliminare Berlusconi dalla scena politica è la scoperta dell’acqua calda, ma non è nemmeno una sorpresa che Napolitano, pur non tacendo critiche anche aspre alle degenerazioni correntizie del Csm, non abbia mai smesso un momento di fare la «guerra» al Cavaliere con l’esperienza felpata di un comunista ex migliorista catapultato a sorpresa sul Colle più alto.

 Gli indizi sono innumerevoli e fanno molto più di una prova. Nel 2010, ad esempio, il Capo dello Stato difese con grande fermezza istituzioni e legislatura. Peccato che l’istituzione in questione fosse la presidenza della Camera, incarnata da Gianfranco Fini, che era diventato il nemico numero uno di Berlusconi. «C’è contro di lui - disse - una campagna gravemente destabilizzante. È ora che finisca». Come molti, in questo strano Paese, il Presidente considerava tutte le istituzioni degne di tutela tranne la presidenza del Consiglio perché ad occuparla era, appunto, il Cavaliere. Napolitano si erse quindi severo in difesa di Fini e della sua carica ma un anno prima non gli era uscita una sola parola quando iniziò l’assedio a Palazzo Chigi da parte del solito circolo mediatico-giudiziario agli ordini della sinistra. Napolitano restò indifferente al massacro del premier, che pure era all’apice del consenso popolare. La spiegazione è semplice: Napolitano pensava che Berlusconi fosse un pericoloso intruso su cui si poteva, anzi si doveva, fare impunemente il tiro al bersaglio istituzionale.

 

 

E poi, chi può negare la similitudine tra i motivi che spinsero Scalfaro a ispirare il ribaltone del '94 e quelli che poi indussero Napolitano alle trame del novembre 2011 che portarono alla caduta del governo? Entrambi agirono nella convinzione profonda che Berlusconi fosse un corpo estraneo da rimuovere dalla politica, ed entrambi agirono in un contesto più ampio, che andava dagli interessi della sinistra italiana a quelli di qualche Cancelleria straniera. È un fatto che l'Italia nel 2011 sia stata consegnata alla grande speculazione finanziaria internazionale, che fece salire alle stelle lo spread per cacciare il leader del centrodestra da Palazzo Chigi. Il ruolo del Capo dello Stato fu determinante, con una forzatura che trasformò la Repubblica da parlamentare in presidenziale, mettendo il governo nelle mani di Monti.

Eppure, dal 2008 al 2011 il governo e la maggioranza di centrodestra erano stati sottoposti a una serie impressionante di verifiche elettorali e le avevano vinte tutte. Ma nonostante questo, anzi proprio per questo, i professionisti della delegittimazione si erano messi all’opera sotto un’attenta regia. Senza tirare in ballo le presunte sollecitazioni del Quirinale nei confronti di Fini – sussurrate a lungo ma mai dimostrate - per mettere in crisi il governo con la scissione di Fli, e anche volendo derubricare a mera indiscrezione giornalistica le rivelazioni del Wall Street Journal sulla telefonata tra Napolitano e la signora Merkel per la cacciata di Berlusconi da Palazzo Chigi, è invece abbondantemente provato che il Quirinale aveva allertato Monti già nel giugno 2011, quando non era ancora scoppiata la crisi dello spread: lo scrisse Alan Friedman, parlando di «Costituzione strapazzata», e lo confermò lo stesso Monti, non intravedendovi peraltro «nulla di male». Le cronache – e anche la storia, ormai - ricostruiscono perfettamente il clima opaco di quelle settimane convulse, che videro Napolitano sempre più protagonista della politica parlamentare, attraverso consultazioni continue al Quirinale con i gruppi parlamentari nonostante il governo Berlusconi fosse pienamente in carica con la fiducia di entrambe le Camere. Come stupirsi, dunque, del consenso «istituzionale» nei confronti delle Procure «d’assalto» che inquisivano Berlusconi per tutto lo scibile umano? 
 

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