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In Bankitalia se la fanno sotto. I dipendenti si rifiutano di tornare in ufficio

Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco

Alla Banca d'Italia si rifiutano di tornare in ufficio fino ad ottobre. Hanno paura del coronavirus e a casa stanno meglio

Franco Bechis
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La proposta gliela hanno fatta con tutta la prudenza del caso. Il Governatore della Banca di Italia, Ignazio Visco e i suoi principali collaboratori avevano immaginato che potesse esserci dal 4 maggio una fase 2 anche per via Nazionale. Da quando è scoppiata l'emergenza Covid infatti dalla sede principale della banca centrale italiana, uno dei centri nevralgici delle analisi e delle decisioni in tempi di crisi economica, sono scomparsi quasi tutti. Dirigenti e dipendenti come è capitato anche nelle filiali territoriali e in molte altre aziende e banche italiane non hanno più varcato la soglia dell'ufficio preferendo lavorare da casa nel decantato smart working. Praticamente lo hanno fatto nove sui dieci, e solo in rarissimi casi per emergenze particolari sono tornati al lavoro fisicamente per poche ore.  Leggi anche: Mascherine FFP2 in Bankitalia: sì, no, forse. I sindacati inchiodano la Banca Rispetto ad altre aziende italiane in Banca di Italia si è addirittura premiata questa scelta, con il direttore generale Daniele Franco (che finché faceva il Ragioniere generale dello Stato aveva il braccino assai corto) che ha un concesso a chi lavorava da casa un premio mensile di 100 euro, a compensazione di incomprensibili disagi che questa scelta avrebbe comportato ai dipendenti. Ma appunto la soluzione avrebbe dovuto essere molto temporanea, e i vertici della Banca di Italia stavano preparandosi a fare rientrare tutti anche perché alcune funzioni (ad esempio la vigilanza sulle banche) richiedono attività non facilmente svolte nella propria abitazione. Così il 4 maggio hanno presentato ai sindacati un documento di otto pagine, il «Protocollo per la progressiva e graduale ripresa delle attività in presenza». Niente che non conosciamo già: sanificazione continua dei locali, organizzazione contingentata degli spazi comuni, utilizzo di guanti, mascherine e gel alla bisogna. Anche qualche disegnino per rendere più chiare le operazioni igieniche da fare prima e dopo avere indossato la mascherina protettiva. Un protocollo per altro di estrema prudenza per avviare un progressivo ritorno al lavoro. Ma ci si è trovati davanti a un vero e proprio muro di tutte le sigle sindacali: da quelle tradizionali dei dipendenti a quelle delle sigle che rappresentano i dirigenti. Riaprire con cautela? Non se ne parla nemmeno. A leggere le vibrate proteste circolate all'interno della banca per la sola ipotesi avanzata dagli uomini di Visco sembra proprio che l'istituto che dovrebbe essere di modello anche comportamentale per l'intero paese sia paralizzato dalla paura del contagio del virus. Più che chiara in questo senso la risposta fornita dal Sibc, una delle sigle indipendenti: «Se la Banca si era illusa che, per preparare sottotraccia un futuro rientro del personale in presenza, bastasse copiare un pallido copia incolla dell'accordo esterno fra Governo e confederali, dovrà tornare sui suoi passi (...). Prima si definisce una data fino alla quale si dà certezza al personale sul mantenimento del delocalizzato come modalità ordinaria di lavoro (il 30 settembre può essere un buon punto di incontro), poi si definiscono criteri chiari per stabilire quali attività necessitano di attività in presenza e come considerare le diverse fasce di personale interessato». Secondo i sindacati la vera domanda che si farebbero i dipendenti sarebbe: «Ma perché? Che senso ha questa malcelata fregola di rientro della Banca?». Per loro Visco & c spingerebbero per un rientro dei dipendenti perché «prevale la paura di essere guardati storto da fuori, di essere additati come i privilegiati, oppure - peggio ancora - domina soprattutto l'impazienza di tornare al mondo antico del presenzialismo, dei tornelli, del controllo sociale, delle miriadi di timbrature da sorvegliare...». Ma anche il Cida, che è il sindacato del personale direttivo della banca centrale, non ragiona in modo diverso: «Non si potrebbe dire fin d'ora», si chiede, «che il piano di rientro non partirà prima della fine di settembre? Sarebbe la soluzione più semplice. Oltre a rasserenare i colleghi, semplificherebbe anche la gestione amministrativa del delocalizzato nei prossimi mesi». Quindi mentre tutto il resto di Italia sta spingendo per ripartire il prima possibile, e ormai milioni di lavoratori sono tornati in azienda dal 4 di maggio e altri ancora ne torneranno a partire dal 18 maggio o dal primo giugno, la Banca di Italia sta facendo di tutto perché questo non accada, e pensa che non si possa nemmeno discutere un rientro al lavoro prima del prossimo primo ottobre. Certo, se queste sono le nostre elite, completamente paralizzati dalla paura, sarà difficile fare riprendere con l'energia che serve il resto del paese. Ma facilissimo anche fare a meno di loro, risparmiando anche molti soldi per non alimentare mai più quel «presenzialismo» che in ogni altra azienda si chiamerebbe presenza al lavoro...

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