Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Conte brinda a un rilancio solo inventato

Invece di semplificare e risolvere i pasticci su cig e credito imprese, arriva un confuso decreto di 258 articoli

Carlo Antini
  • a
  • a
  • a

Era stato annunciato come il provvedimento che avrebbe semplificato ogni procedura incagliata e sbloccato tutto ciò che non aveva funzionato fin qui: dalla cassa integrazione ai prestiti alle imprese che hanno bisogno come il pane di quei soldi che non stanno arrivando. La bozza del decreto che si chiamava aprile che poi è stato spostato a maggio e ora ribattezzato «rilancio» è da ieri mattina nelle mani di tutti i ministri e aggiunge alle nostre pene altri 258 articoli di legge che occupano 437 pagine. Scorrendole c'è una sola certezza: sono il record del mondo di complicazione, in gran parte modificano commi dei due decreti precedenti nel modo tanto amato dalla banda di azzeccagarbugli di cui ostinatamente Giuseppe Conte ama circondarsi, con testi comprensibili solo a loro che saranno di difficile applicazione. Sulla cassa integrazione che non viene stanziata forse viene peggiorata ulteriormente la procedura. Ma visto che non sta arrivando un finanziamento degno di questo nome a una sola impresa in difficoltà, il governo questa volta ha una splendida idea: diano contributi a fondo perduto le Regioni e le province autonome usando i fondi europei. L'articolo 59 del decreto non le obbliga - perché lo Stato non ha questo potere - a erogare fino a 800 mila euro per impresa, ma lo consente. Come dire: «se volete provvedere voi, fate pure». Poi però aggiunge: «attenti, la somma massima deve essere di 120 mila euro per le imprese del settore pesca e di 100 mila euro per quelle agricole». Regioni e province autonome possono concedere anche garanzie sui prestiti bancari alle imprese, come ha tentato di fare lo Stato senza riuscirci, e possono favorire prestiti agevolati, con tassi che dispone questo decreto. La fantasia non manca e si allarga fino all'articolo 65 inventandosi ogni tipo di aiuto che tanto dovrebbero dare Regioni e province autonome, non lo Stato (che ammette così la sua assoluta incapacità).  Per approfondire leggi anche: Il decreto rilancio in Consiglio dei ministri Ma poi arriva l'articolo 66, che mette tutta una serie di paletti a quegli eventuali aiuti. Primo: a sette giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale la presidenza del Consiglio dei ministri deve notificare all'Unione europea questi articoli di legge (dal 59 al 65), perché serve il loro assenso che non si sa quando mai arriverà. Poi bisogna registrare quelle norme in ogni singolo quadro sugli aiuti di Stato concessi, sempre che vengano concessi. E prima di erogare quei fondi gli enti locali dovrebbero fare una istruttoria su ogni impresa che li volesse per vedere se non riceva già altri tipi di aiuti e finanziamenti pubblici che porterebbero le soglie oltre la cifra massima consentita. L'ideona del governo di scaricare sugli enti locali è una splendida via di fuga, ma con questi procedimenti nessuno vedrebbe un euro se non a partire dal prossimo autunno. Ho citato questa parte perché è una delle novità declamate dal decreto ed è già ad occhio nudo il primo passo verso un nuovo fallimento. Ma in ogni articolo e in ogni comma il destino è già segnato, ed è questo. Perché anche quando si propongono cose ragionevoli, la via per farle diventare reali è così tortuosa da perdere ogni tipo di efficacia. E il modo con cui sono scritti fa venire solo rabbia. Ve ne daremo testimonianza sia su queste pagine che sul nostro sito Internet pubblicando i testi più scandalosi e incomprensibili che si sommano agli orrori dei precedenti decreti. Ma quel che si scorge sotto la pervicacia con cui si continua a sbagliare è molto semplice: chi fa le leggi chiuso nei propri palazzi non ha alcuna idea della vita che si svolge fuori. Cito un aspetto molto banale: anche una buona norma come il buono vacanze è dato come tax credit a chi ha Isee bassi o una dichiarazione dei redditi inferiore ai 35 mila euro. Ora gli ultimi dati fiscali a disposizione del governo che vuole dare un bonus vacanze agli italiani sono relativi all'anno 2018. Tanto vale prendere quelli del 1798, perché rappresentano nello stesso attendibile modo i redditi degli italiani del maggio 2020. Oggi servono soldi a chi non li ha, dire «mettili tu e io poi fino a 500 euro per le tue vacanze te li sconto quando pagherai le tasse nel 2021», è semplicemente da pazzi. E' di tutta evidenza che chi non ha soldi non è in grado di metterli, e se vuoi che faccia vacanze qualche giorno (con 500 euro non si vive a lungo fuori casa), bisogna infilargli in tasca quelle banconote. Se poi metti come condizione quella di un reddito sotto i 35 mila euro nel 2018, finisce che l'aiuto sia pure differito lo dai anche a chi non ne ha alcun bisogno. Faccio un esempio: gli statali, che sono una categoria fra le poche non colpite dalle conseguenze economiche del Covid: hanno lavorato da casa, mantenuto lo stesso stipendio, nessun rischio di cassa integrazione, meno spese per gli spostamenti e alla fine hanno messo da parte pure qualcosa. Invece il barista o il ristoratore o il barbiere che nel 2018 magari aveva un reddito superiore a quelle soglie oggi non ha più un euro. Bisogna aiutare loro, e chi è al governo continua ad essere sordo cieco e muto di fronte a una realtà così evidente. I veri ultimi oggi non hanno alcuna rappresentanza nel palazzo. Ed è il motivo per cui bisogna rapidamente cambiare questo governo. E mettere fine a questa tragedia nella tragedia.

Dai blog