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Coronavirus, poche briciole all'Italia (quasi) alla fame

Giuseppe Conte butta due spiccioli ai comuni: l'Italia inizia a fare la fame e il premier pensa di risolverla dando ai sindaci 400 milioni

Franco Bechis
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Anche se non l'aveva mai pronunciata davvero, Maria Antonietta è passata alla storia per la celebre frase che le era stata attribuita prima della sua decapitazione da parte dei rivoluzionari francesi: "Non hanno più pane? Che mangino brioches". Giuseppe Conte ieri sera con enfasi si è collegato in diretta con gli italiani per ritagliarsi il suo momento Maria Antonietta. Ma non è arrivato a tanto. Invece delle brioches ha distribuito briciole di pane agli affamati. Impressionato dai primi assalti ai supermercati - soprattutto al Sud - di chi è restato senza un euro in tasca dopo la serrata in Italia di tutte le attività commerciali, il premier ha stanziato ai comuni un contributo straordinario di 400 milioni di euro per "acquistare buoni spesa, buoni pasto o generi di prima necessità senza procedura di gara". Siccome verranno divisi anche in base alla popolazione dei comuni significa che una città come Roma avrà a disposizione circa 200 mila euro per distribuire quei pasti. Cioè un buono spesa da 100 euro per 2 mila persone, o da 50 euro per 4 mila o da 25 euro per 8 mila. Briciole appunto se si pensa ai bisogni di una famiglia restata senza alcun reddito magari con due o tre figlio, l'affitto da pagare che nessuno ha loro tolto e così via. E a chi li daranno quei buoni pasto? Nelle bozze che abbiamo è assai confuso il criterio, e viene ipotizzato perfino l'utilizzo dell'IVSM, l'indice di vulnerabilità sociale e materiale che però è basato sui dati del censimento del 2011, la data di un'altra Italia. Se ci basiamo sulle classifiche di povertà allora quelle briciole finiranno nelle tasche dei percettori del reddito di cittadinanza, che sono i soli in Italia per cui non sia cambiato proprio nulla con la serrata dovuta al coronavirus: l'assegno dovuto lo ricevevano prima e continuano a riceverlo nella stessa identica maniera. Un po' di rabbia poi viene dalla decisione che contemporaneamente ieri il premier ha annunciato: la messa a disposizione dei comuni italiani di 4,3 miliardi loro anticipati dal fondo di solidarietà previsto nel bilancio dello Stato. Lo so che molti sindaci stavano facendo pressioni per avere quelle somme, perché sono entrate in crisi profonda tutte le loro società municipalizzate, in particolare quelle dei trasporti. Erano già gestite da cani, con profonde perdite, ma è ovvio che oggi con la serrata Italia pochi salgano a bordo di mezzi pubblici pagando il biglietto, e le casse delle municipalizzate languono. Erano giorni che i redattori de Il Tempo me lo segnalavano avendo parlato con questo o quel sindaco delle nostre zone. E a loro rispondevo: “Capisco i sindaci, ma in questo momento prima i cittadini e le imprese, poi si penserà anche a dare notizia delle loro sia pur legittime rivendicazioni. Oggi sarebbe grottesco, vista l'emergenza che grida la vita di gran parte della popolazione”. Pensavo fosse un discorso di buon senso, ma evidentemente il premier non la pensa così: subito i soldi ai sindaci, e poi agli italiani penseremo con calma. Infatti proprio Conte si è sentito eroico nell'annunciare che con una corsa contro il tempo cercherà di fare avere i 600 euro promessi per marzo a partite Iva e commercianti “entro il 15 aprile prossimo”. Forse sì, forse no. Avevo capito dalle mille conferenza stampa che quei 600 euro dovevano essere un tampone per marzo, e ad aprile sarebbero arrivati più soldi, anche più del doppio. Invece no, ad aprile inoltrato (forse) arrivano le promesse di marzo, quelle future ancora debbono essere messe nere su bianco. Non c'è quindi un solo euro dei 25 miliardi del decreto varato dal governo che possa andare a segno entro la fine del mese. Mentre in ogni altro paese del mondo gli aiuti stanziati sono già a segno. E anche quello che era stato stabilito con procedure più veloci, come racconta un giovane imprenditore in una drammatica lettera che ci ha inviato, si perde per la richiesta di documenti (Durc, certificati antimafia, serie storica di bilanci e decine di altri) per ottenere un finanziamento di 3 mila euro! Ma come può saltare in testa di prevedere procedure così? Ieri abbiamo chiesto di mettere da parte la burocrazia e dare liquidità (cioè soldi) a chiunque sia in difficoltà con provvedimenti in grado di scattare domani mattina. Un membro del governo, il sottosegretario all'Economia del M5s Alessio Villarosa, ha elaborato una proposta di prestito pubblico assai snella fino a 10 mila euro a famiglie e fino a 100 mila euro per le imprese. Non basta nemmeno questa, ma è un passo chiaro nella direzione che dicevamo: non fateci convegni sopra né lunghe discussioni. Almeno quella inseritela nel prossimo decreto, altrimenti ci sarà la responsabilità chiara del governo di avere fatto fallire mezza Italia: famiglie e imprese. Fin qui Conte ha governato la crisi in un solo modo: chiudendo poco a poco quasi tutto. Non ci serviva per questo né un presidente del Consiglio né un governo. Sarebbe bastato un portinaio di esperienza, bravo a serrare il portone di casa all'orario prestabilito. Un governo è un'altra cosa, non vive alla giornata in mano ai virologi. Chi ha chiuso il portone sa quando e come riaprire prima di affogare tutti? E' la domanda che ha fatto ieri Matteo Renzi avanzando una sua proposta. Lo hanno subissato di fischi, ma ha ragione lui, poi possiamo discutere sulla tempistica. E' incredibile che il presidente del Consiglio non solo quella domanda non sia posto, ma nemmeno abbia la più vaga idea della risposta da dare.

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