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Tra i 5 Stelle più correnti che nel Pd

Ci sono "dimaiani", "antidimaiani", "senzapoltrona" e "nostalgici". Le ex ministre Grillo e Lezzi attaccano, Fico fa il tessitore e Di Battista attende

Pietro De Leo
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Più che la festa dei 10 anni del Movimento, l'edizione 2019 di Italia a 5 Stelle è stata un'immensa cena di Natale. Sì, quella delle famiglie dei parenti-serpenti. C'è il cugino ambizioso, in corsa, il parente che rosica, quelli che non vanno, altri che malvolentieri si siedono a tavola. E il patriarca a tentare di tenere tutti uniti. Manco a dirlo, quest'ultima funzione ce l'ha avuta Beppe Grillo, tornato, con l'esperienza di governo in corso, ad avere pienissima soggettività nella sua creatura. Sicuramente il parente figo è Di Maio, Ministro degli Esteri, volto indiscusso della svolta istituzionale del Movimento. Finora uomo solo al comando che però anche nella prossima svolta collegiale dei «facilitatori» manterrà la sua primazia. Accanto a lui, poi, i fedelissimi di sempre, che siedono anche loro nel tavolo tondo di Palazzo Chigi, ossia il sottosegretario alla Presidenza Fraccaro e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Masticano amaro, invece, esponenti come Nicola Morra, Carlo Sibilia e Paola Taverna, più legati al Movimento 5 Stelle delle origini, che maldigeriscono anche l'evoluzione imminente della struttura del Movimento, che Di Maio ha annunciato sul palco napoletano. Tra loro c'è anche chi ha subito dei contraccolpi dall'alleanza con il Pd. È ad esempio il caso di Paola Taverna, in queste settimane bersaglio di una certa pressione mediatica per via della sua enfasi anti dem profusa negli scorsi anni. E poi c'è Roberto Fico e la sua pattuglia (tra cui il Presidente della commissione cultura della Camera Luigi Gallo). È sempre stato l'anello di congiunzione con il Pd. Agevolato anche dal suo ruolo di Presidente della Camera, il dialogo tra lui e alcuni terminali di Largo del Nazareno (leggi Franceschini) ha iniziato a funzionare dal 5 marzo dello scorso anno e il flusso non si è mai esaurito, tanto che proprio il suo nome ha circolato per una ipotesi di premiership nel momento il profilo di Conte sembrava sbiadirsi durante le faticose trattative. Lui vorrebbe che l'alleanza con il Pd diventasse organica, Di Maio è più articolato e parla di «patti civici». Altra area di questo arcipelago, quella degli «aventinisti». Ossia gli assenti alla convention di Napoli. Trattasi dei governisti di ieri, ai tempi della Lega, non riconfermati oggi nei propri ruoli. Come gli ex ministri Giulia Grillo e Barbara Lezzi. Anche loro hanno disertato Napoli. L'ex titolare della Salute, in una intervista a Sky dove si è tolta più di un macigno dalle scarpe, ha accusato Di Maio di non averla tutelata durante l'esperienza di governo. La sua collega per il Mezzogiorno Barbara Lezzi, invece, aveva timbrato la sua lontananza da Napoli come «mancanza di entusiasmo». Non c'era, poi, neanche Mattia Fantinati, già sottosegretario alla Pubblica Amministrazione, che ha scelto di passare il week end con la famiglia. E poi, a Napoli, non c'era Gianluigi Paragone, che comunque non aveva ruoli nello scorso esecutivo. Al di là di questo, non è mai stato favorevole all'accordo con il Pd, alcuni rumors intravvedono nel suo atteggiamento un'inclinazione di nostalgia con l'alleanza leghista. C'è anche chi lo dà in uscita dall'universo pentastellato. Si vedrà. Non c'era, a Italia a 5 Stelle, nemmeno Alessandro Di Battista. Assenza dovuta a reali motivi familiari, ma che comunque si colloca in una «coda» di mesi di distinguo nei confronti della scelta pentastellata di governare con il Pd. Non è un mistero, infatti, che lui caldeggiasse come scelta preferenziale le elezioni anticipate. Insomma, il Movimento paga la «maturità» di governo con l'acuirsi di una balcanizzazione che comunque non è di oggi. E la difficile elezione dei capigruppo alle Camere si sta rivelando un altro, durissimo, banco di prova.

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