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Si schianta l'unico governo possibile

Oggi Conte intona il de profundis dopo la spallata di Salvini

Franco Bechis
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E' durato quattordici mesi quello che con un po' di tronfia pomposità è stato chiamato “governo del cambiamento”, di cui fra poche ore il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte intonerà con ogni probabilità il “de profundis”. Era il 5 giugno 2018 il giorno in cui il premier si presentò in Senato con il discorso da “avvocato del popolo”. Fu allora che Conte chiese i voti a “un progetto per il cambiamento dell'Italia”, e ne snocciolò i temi, fra cui c'erano anche quelli che oggi vanno di traverso a Matteo Salvini: “I cittadini italiani hanno diritto a un salario minimo orario, affinché nessuno venga più sfruttato, hanno diritto a un reddito di cittadinanza e a un reinserimento al lavoro qualora si ritrovino disoccupati; hanno diritto a una pensione dignitosa; hanno diritto a pagare in maniera semplice tasse eque”. Conte promise pure che sarebbe cambiato “il business dell'immigrazione. Metteremo fine al business dell'immigrazione, che è cresciuto a dismisura sotto il mantello della finta solidarietà”, e in temi di politica estera aggiunse: “saremo fautori di una apertura verso la Russia. Una Russia che ha consolidato, negli ultimi anni, il suo ruolo internazionale in varie crisi geopolitiche. Ci faremo promotori di una revisione del sistema delle sanzioni, a partire da quelle che rischiano di mortificare la società civile russa”. Alcune di quelle promesse sono state realizzate, altre solo enunciate, altre ancora hanno diviso profondamente i due soci del contratto, M5s e Lega, che si erano fatti concessioni nel contratto che evidentemente non condividevano. Era un governo un po' matto, che ha vissuto con non poche follie e che si schianta secondo copione come se la pazzia fosse stata la sola sua caratteristica. Eppure un governo del cambiamento avrebbe potuto davvero essere, e solo in piccola parte è stato nella sua vita così breve. L'unione fra Lega e M5s non era stata sottoposta al giudizio degli elettori, ma in qualche modo non ne era così estranea: i grillini erano stati scelti dagli italiani come primo partito mentre come coalizione era stato scelto il centrodestra, dentro cui si era svolta in campagna elettorale una corsa per la supremazia vinta nettamente da Salvini. Si erano uniti così i due premiati dagli elettori, mentre era evidente che tutti gli altri (con la sola eccezione di Fratelli di Italia anche allora) erano stati bocciati. Non solo, ma entrambi i soci avevano fatto una campagna elettorale puntata tutta contro il Pd e i governi dell'ultima legislatura. E l'avevano vinta. Quindi quella unione era un po' matta, ma non così illogica, ed era anche l'unica in grado di rispettare le scelte degli elettori in questa legislatura. Per le caratteristiche dei due soggetti, non era manco illogico attendersi un vero cambiamento, rispetto a quel che l'Italia aveva vissuto dal governo di Mario Monti in poi: personaggi che prendevano il posto l'uno dell'altro spesso attraverso congiure di palazzo, ma per seguire poi le stesse identiche liturgie. Tanto è che adesso che i due si schiantano, cominciano a tornare quegli esatti schemi, e c'è chi è pronto a lanciare la proposta di un nuovo governo tecnico guidato dal presidente uscente della Bce, Mario Draghi. Nulla da dire sulla persona, ma che si rispolveri quel metodo che tutto tiene in conto meno la volontà del popolo italiano è il segno più evidente della incapacità di cambiare della classe dirigente italiana. Qualche cambiamento in questi 14 mesi si è visto, un po' nelle scelte di politica effettuate che certamente hanno staccato con il passato (sulla immigrazione e la sicurezza, ma anche sulla protezione delle fasce più deboli e dimenticate della popolazione) e talvolta nei modi un po' naif dei nuovi potenti, che grande esperienza non avevano e non hanno potuto nasconderlo. E' riuscito ad ovviare a questa debolezza il premier Giuseppe Conte, che come un diesel è venuto fuori alla distanza, svelando una personalità che non si intuiva all'inizio e mostrando oltre a un indubbio stile anche una certa capacità di riparare qualche guaio di troppo nei consessi internazionali. Ma il cambiamento non ha avuto il coraggio di procedere fino in fondo, affidandosi spesso alle tecnostrutture ministeriali e statali che da Tangentopoli in poi sono divenute la vera ossatura del potere in Italia, mangiandosi esecutivo dopo esecutivo. Un po' pazzo è stato in vita, decisamente folle nei suoi passi finali, e a giorni di distanza ancora resta difficile da comprendere tempi e ragioni della crisi provocata da Salvini. Ma ormai il filo è stato spezzato e non conviene nemmeno alla Lega tornare indietro, perché finirebbe assai malconcia nell'opinione pubblica. Le regole parlamentari e costituzionali consentono oggi la ricerca di maggioranze alternative, e quindi non si può gridare per questo al colpo di Stato. Ma certo se si riportasse al potere chi è stato preso a sberle in ogni occasione dagli elettori, si scaverebbe tragicamente non un solco, ma un fossato fra il popolo e le sue istituzioni. Resto convinto che per quanto matto quel governo gialloverde fosse il solo ad avere legittimazione popolare in questa legislatura. Nulla dura in eterno, e gli italiani potrebbero anche cambiare rapidamente idea. Ma prima di decidere ribaltoni di palazzo, sarebbe regola se non di democrazia almeno di buona educazione chiedere a loro un parere...

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