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Sul Coni Malagò contro il governo: "Non è una riforma. È un'occupazione"

Il presidente del Comitato olimpico spara a zero sulle norme allo studio nella Finanziaria

Carlo Antini
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«Non una riforma, ma l'occupazione del Coni». Giovanni Malagò non usa giri di parole per descrivere gli effetti della norma che il governo giallo-verde ha inserito nella bozza della manovra. Nemmeno dopo la bocciatura della Giunta Raggi alla candidatura Roma 2024 il presidente del Coni aveva usato parole così dure e nette per criticare una scelta politica con importanti ricadute sul mondo dello sport. L'ha fatto nel corso del Consiglio nazionale convocato in via straordinaria con un solo ordine del giorno: il mandato allo stesso Malagò per la trattativa con i sottosegretari Giancarlo Giorgetti e Simone Valente «con l'obiettivo di preservare l'autonomia dello sport italiano». Il mandato con il quale si chiede anche al governo «di valutare nuovamente il testo della norma e in caso di differirne l'adozione» ha ottenuto il "sì" di tutti i presenti alla riunione del Consiglio, ad eccezione del senatore leghista e presidente dell'Asi Claudio Barbaro. Assenti per impegni vari Barelli (Fin), Binaghi (Fit), Petrucci (Fip) e Gravina (Figc), che però avevano già espresso il loro appoggio alla linea dettata da Malagò. Prima del voto, il numero uno del Coni si è rivolto agli astanti con un intervento accorato di circa un'ora. «Questa non è una riforma dello sport italiano, è un'occupazione», è stato il primo affondo di Malagò, secondo il quale «il più prestigioso tra i comitati olimpici diventerebbe con questa norma l'ultimo al mondo, si ridurrebbe a un'agenzia di viaggi che dovrebbe occuparsi solo della preparazione olimpica». «Su internet è pieno di "Sport e Salute". E io dovrei rinunciare al nome Coni, forse il più prestigioso del Paese dopo la Ferrari, per un marchio che si chiama così?», ha rincarato la dose, innescando la standing ovation dei membri del Consiglio. Non sono mancati rimandi al periodo più buio della storia italiana: lo stesso Malagò ha ricordato che «anche il fascismo aveva rispettato quella che era stata la storia del Coni», mentre per il membro Cio Mario Pescante «la legge del 1942/43 di un certo Benito Mussolini era molto più democratica». E al leghista Barbaro, per il quale «l'autonomia è un totem per impedire qualsiasi tipo di processo di autoriforma», ha risposto l'altro membro Cio Franco Carraro sottolineando come «non sia giusto buttare a mare oltre 70 anni di storia con un comma di un articolo alla legge di stabilità». Insomma, se è vero che «nessuno vuole la guerra» (come filtrava dall'incontro tra Malagò e i presidenti delle federazioni) per il mondo dello sport è però arrivato il momento di alzare la voce a difesa della propria autonomia. «Fino ad oggi - ha fatto notare Malagò - si poteva pensare che fossi solo io a prendere certe posizioni, ora c'è un mandato fortissimo». La posta in gioco è così alta da aver spinto il numero uno del Coni ad agitare anche lo spettro delle dimissioni («Se questa riforma fosse entrata in vigore nel 2019 mi sarei dimesso, non vado a fare né il notaio né il becchino del Comitato che mi ha eletto, ma sarei un incosciente se lasciassi tutto a cinque mesi dalle Olimpiadi»). Ma questa è una partita importante anche per il governo, che non ha mancato di replicare al presidente del Coni: «Ci sorprende il suo atteggiamento - le parole di Giorgetti e Valente in una nota congiunta - Malagò sa bene che l'autonomia dello sport non è in discussione. Stiamo seguendo un modello d'eccellenza già in vigore in molti paesi d'Europa e del mondo. Molti sono con noi e ci incoraggiano ad andare avanti. Il governo rispetta il programma e il contratto che ha dato vita all'esecutivo». «Non è vero che quanto fatto è nel contratto di governo - ha ribattuto Malagò - e questo lo sanno bene sia Giorgetti che Valente». Nuovi round sono attesi nei prossimi giorni, quando Malagò incontrerà di nuovo i due rappresentanti del governo alla ricerca di una soluzione che, al momento, appare lontana.

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