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Parlamento inutile? Ma a Casaleggio i soldi degli onorevoli sono utilissimi

Davide Casaleggio

Terremoto per l'ultima uscita del (mai eletto) leader del Movimento

Carlantonio Solimene
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«Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile» e «tra qualche lustro è possibile che non ci sarà più bisogno del Parlamento». Sono le due frasi che hanno fatto più scalpore dell'elefantiaca intervista rilasciata da Davide Casaleggio a "La Verità" e che hanno ovviamente provocato un piccolo terremoto. Al punto da richiedere un intervento chiarificatore del capo politico del MoVimento 5 Stelle, il vicepremier e pluriministro Luigi Di Maio, che con la consueta abilità cerchiobottista ha concluso che «di solito i Casaleggio ci prendono sempre, ma sta a noi dimostrare che è vero il contrario». Ovvero che il Parlamento serve. Ma ci credono davvero, i grillini, nell'utilità delle Camere? Il dubbio è lecito. E forse occorre andare al di là delle dichiarazioni di Davide Casaleggio, che sono espunte da un ragionamento molto più ampio e, in fondo, assomigliano a quelle del padre Gianroberto o alle uscite del cofondatore Beppe Grillo: «tecno-deliri» poi ridimensionati dai rappresentanti istituzionali, un po' come se giocassero ai ruoli di poliziotti cattivi e poliziotti buoni. Per capirlo, si diceva, basta guardare con attenzione a quanto accade proprio nel luogo del misfatto, l'«inutile» Parlamento. Si scoprirebbe, per dirne una, che nel contratto di governo tra Cinquestelle e Lega è prevista una riforma costituzionale che ha come caposaldo l'introduzione del «vincolo di mandato» per gli eletti. Chiaramente andrà verificato come sarà messo in pratica il proposito, ma grosso modo dovrebbe articolarsi nel divieto per i parlamentari di votare in dissenso al volere del gruppo, pena la decadenza dalla carica. Di fatto, nelle Camere i rapporti di forza sarebbero congelati. A che servirebbe votare un provvedimento se il risultato è già scontato? Tanto vale eliminare le votazioni, non solo quelle a scrutinio segreto, già da tempo nel mirino dei pentastellati. È un proposito che di democratico ha molto poco. E che rischia al tempo stesso di rivelarsi un controsenso per l'attuale maggioranza. Cosa sarebbe successo, infatti, se quella sessantina di parlamentari della Lega eletti nei collegi uninominali grazie ai voti del centrodestra unito non avessero tradito il mandato elettorale? Semplice: il governo non sarebbe mai nato. Non finisce qui. Perché, a dispetto del bel discorso pronunciato da Roberto Fico nel giorno dell'elezione a presidente della Camera e tutto incentrato sul «recupero della centralità del Parlamento», i ministri del MoVimento 5 Stelle si stanno dimostrando assai allergici alle liturgie dell'Aula. Che, è vero, talvolta sono piuttosto farraginose. Ma, in fondo, sono pur sempre stabilite dalla Costituzione. La «più bella del mondo», o almeno così la definivano nella scorsa legislatura quei parlamentari a 5 Stelle che pur di difenderla espugnarono i tetti di Montecitorio. Per dire: era davvero necessario che Luigi Di Maio imponesse per decreto una riforma del lavoro, seppur di portata in verità abbastanza residuale? C'erano davvero i cosiddetti «presupposti di necessità e urgenza» per evitare la strada del semplice disegno di legge, tanto più che l'entrata in vigore del «cuore» del provvedimento - le nuove norme sui contratti a termine - è stata rinviata a ottobre? E quanto c'è di democratico nel paventare il ricorso al voto di fiducia «se l'opposizione dovesse fare ostruzionismo»? Sì dirà: l'eccessiva decretazione d'urgenza e l'utilizzo di strumenti discutibili come il «canguro» per eliminare montagne di emendamenti non li ha certo inventati questa maggioranza. Ma gli errori commessi nel passato rappresentano una giustificazione per chi vuole tornare a commetterli ora? E Di Maio non è certo l'unico a voler dribblare le regole, magari per rispondere colpo su colpo all'attivismo dell'«alleato-rivale» Matteo Salvini. Che dire del suo fedelissimo Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia? Il quale, mentre in Parlamento si dibatteva sulla scelta di spostare il tribunale di Bari in una struttura legata a un imprenditore vicino ad ambienti mafiosi, ha pensato bene di dare la sua versione dal proprio profilo Facebook prima che agli onorevoli stessi. Ovviamente sono divampate le polemiche e Bonafede si è scusato. Ma, forse, non aveva del tutto sbagliato, specie se si considera che quando Di Maio era andato a Montecitorio a riferire sulla questione Ilva ad ascoltarlo c'erano sette (sette!) deputati. Di cui nessuno della maggioranza. Nessuno, soprattutto, che potesse accampare una nobile motivazione per l'assenza come quella del grillino sardo Andrea Mura, che in Parlamento non ci va mai «perché sono stato eletto come testimonial della lotta per il mare pulito e la politica si può fare anche dalla barca»... A ben vedere, l'unica funzione del Parlamento ben vista da tutti i partiti è quella che si concretizza il 27 del mese. Col pagamento dello stipendio. Con i grillini che, per regolamento interno, devono devolverne ogni volta una parte - 300 euro - all'Associazione Rousseau presieduta da Davide Casaleggio. In tutto fanno sei milioni nell'arco di una legislatura. Fino a quando il flusso di denaro scorrerà, si può star sicuri che per il figlio di Gianroberto il Parlamento non sarà utile. Sarà utilissimo.

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