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Trombati e salvati. Così sarà il nuovo Parlamento

Massimo Parisi
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Le elezioni non si sono ancora tenute, ma i primi verdetti, si possono già emettere. Sono infatti quasi cinquecento (per l'esattezza 444) i deputati e senatori della diciassettesima legislatura che non faranno parte della diciottesima, la prossima, per il semplice motivo che non sono stati ricandidati. Ora se è vero che la ricandidatura non significa automaticamente rielezione, la non ricandidatura è certamente, per ora, definitiva. I nomi, in qualche caso, sono pure eclatanti, ma conviene intanto soffermarci sui numeri che possono aiutarci a descrivere fenomeni che saranno più leggibili, dopo il 5 marzo. Vediamo cioè quali sono i partiti che hanno «rinnovato» di più la propria proposta politica e quelli più «conservatori»: naturalmente questo dato è influenzato dalle oggettive previsioni che già si possono effettuare sulla base della novità della legge e dell'assenza del premio di maggioranza. Il Pd ad esempio vedrà certamente falcidiata la propria presenza parlamentare – a prescindere da successo o in- successo nelle urne – per il semplice motivo che il dato degli uscenti è influenzato dalla vittoria del premio di maggioranza alla camera nel- le passate elezioni. Premio che oggi non esiste più. Vediamo dunque nel dettaglio, perché i numeri qualche sorpresa la riservano. Con la premessa che, nel caso dei partiti-gruppi parlamentari uscenti più piccoli, la non ricandidatura equivale spesso non a una scelta di «rinnovamento», ma piuttosto alla prematura scomparsa...C'è poi la vicenda Cinque Stelle: i deputati e senatori uscenti sono tutti alla prima legislatura e per regolamento interno non possono fare più di due legislature. Eppure un certo tasso di «ricambio» c'è stato nella composizione delle liste: un secondo ricambio avverrà dopo le proclamazioni, visto che è già nutrita la pattuglia di espulsi che andranno (caso unico nella storia) già in partenza a costituire il primo manipolo del gruppo misto. Gli uscenti ricandidati dei grillini raggiungono la percentuale più alta: sono infatti il 77,4%. Nella classifica delle ricandidature degli uscenti segue la Lega, che ripropone il 66,7% dei parlamentari della legislatura in scadenza. Anche Forza Italia è stata generosa con l'esperienza (e questo stride un po' con le consuete promesse di rinnovamento nelle liste) perché ben il 63,6% degli uscenti è stato ricandidato (e la stragrande maggioranza di questi, sostengono gli esperti, con ottime possibilità di rielezione). Peraltro nel caso di Forza Italia ritornano in auge anche deputati e senatori delle legislature precedenti. Il Partito democratico ricandida invece poco più della metà degli uscenti (il 58,2%). Pure i nuovi partiti come Leu (la lista capitanata da Grasso e Boldrini) hanno fatto una buona infornata di parlamentari della diciassettesima, ricandidando il 59% di deputati e senatori scissionisti. Il dato dell'Udc è invece sorprendente per il tasso di riconferme (si arriva all'80%): vabbé che erano pochi ma chapeau a Cesa che ha tutelato tutta la sua nomenclatura. Vedremo solo il 5 marzo se questo lo premierà anche nelle urne. Anche Fitto è riuscito a ricandidare una buona parte dei suoi uscenti (il 53%). È andata meno bene invece a quei partiti e gruppi che hanno, più o meno, sostenuto Renzi: gli uscenti disseminati in due tre gruppi parlamentari frutto della diaspora di Scelta Civica hanno un tasso di ricandidatura del 29%, mentre Ap arriva a superare il 40% (ma in questo caso fra quelli a sostegno del centro-sinistra e quelli rientrati all'ovile del centro-destra). Falcidiato invece il gruppo Ala di Verdini che vede un tasso di ricandidature del 9% (sono, anche in questo caso, quelli rientrati con il centro-destra). Nel prossimo parlamento dunque non siederanno due dei tre coordinatori del Pdl: Denis Verdini e Sandro Bondi, né il suo primo segretario politico, nonché ex ministro sia con il centro-destra che con il centro-sinistra (Angelino Alfano) né alcuni suoi ministri come Giulio Tremonti, il cui rinascimento sgarbiano si è fermato ai cancelli di Arcore. Non è andata meglio agli ex portavoce di Forza Italia e di Berlusconi: abbandoneranno il parlamento infatti anche Paolo Bonaiuti, e Daniele Capezzone. A proposito di ex ministri non ricandidati spiccano anche i casi di Rocco Buttiglione, Anna Finocchiaro, Rosy Bindi. Abbandona anche il Parlamento il leggendario presidente del gruppo misto Pino Pisicchio (che molto aiutò da capogruppo le maggioranze di questa legislatura...): con la sua «dipartita» la famiglia Pisicchio abbandona le aule parlamentari dopo 50 anni di onorato servizio. Il padre, Natale, fu deputato dal 1968 al 1987. Il figlio, Pino appunto, è stato eletto nel 1987, nel 1992 ed - ininterrottamente - dal 2001 al 2013. Il nuovo che avanza.

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