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D'Alema sfrutta la dittatura dello spread: "Col voto conti a rischio"

Dario Martini
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La vittima più illustre della dittatura dello spread fu Silvio Berlusconi, costretto sei anni fa a lasciare il testimone di Palazzo Chigi all'esecutivo guidato da Mario Monti. Oggi lo spettro dello spread è tornato. Il famigerato differenziale tra i bund tedeschi e i btp decennali "balla" attorno a quota 200. L'ultimo ad utilizzarlo per sostenere le proprie tesi politiche è Massimo D'Alema. Ormai "separato in casa" nel Pd, D'Alema ha detto chiaramente che le elezioni anticipate, invocate da Matteo Renzi, sarebbero una sciagura, prioprio a causa dello spread alto."La situazione del Paese è gravissima - ha detto -  I dati sullo spread dimostrano che ogni incertezza internazionale ha un effetto immediato sull'Italia. In Europa siamo ultimi per crescita, quartultimi tra i 30 Paesi più industrializzati. Sono cresciute gravemente povertà e diseguglianze. Rispetto al 2011 ci sono differenze fondamentali - ha aggiunto - Allora non c'era più un governo, oggi sì e per farlo cadere bisognerebbe provocare una crisi ad hoc. Stavolta non c'è prospettiva politica e non c'è legge elettorale. Finirebbe con lo spread a 400. E con la gente in mezzo alla strada, non so se è chiaro". Insomma, se prevalesse la volontà di Renzi (e di Grillo, Salvini e Meloni) di andare alle urne a giugno, la gente finirebbe addirittura "in strada". Un cataclisma. Per D'Alema bisogna stare attenti alla dittatura dei mercati. Di fatto sarebbero loro a dettare l'agenda alla politica.Il problema è che l'andamento dello spread non ha una lettura univoca. I sostenitori del voto subito, infatti, ritengono che è proprio il governo Gentiloni, per sua natura"provvisorio", ad alimentare le montagne russe dello spread. C'è anche chi, come il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, getta acqua sul fuoco: "Difendo Renzi su spread e riforme. Finché c'è stato Renzi non c'è stato lo spread. Non è la sua eredità perché l'epicentro è europeo e Gentiloni è in grado di gestirlo". Per capire di cosa stiamo parlando, è utile andare a leggere quanto si è mosso lo spread negli ultimi anni. Nel gennaio del 2011 lo spread, dopo una piccola risalita, era giunto più o meno ai livelli attuali, poco sotto quota 200. Ad aprile era poi sceso sotto quota 130 e da qui era cominciata la sua corsa verso l'alto. A giugno 2011 venne sorpassata quota 300, a ottobre quota 400 e il 9 novembre si toccò il picco di 574 punti (chiusura a 550). A dicembre, insediato Monti, il differenziale calò sotto quota 400, per poi risalire di nuovo sopra i 500. I primi mesi del 2012 - fino a marzo - videro una nuova discesa, fin sotto quota 300, e poi una risalita fino a luglio, quando lo spread sorpassò nuovamente i 500 punti. Da quel momento in poi la discesa è stata costante, fino ai minimi di marzo 2015, quando si scese sotto quota 100 punti. E quando c'è stato Matteo Renzi a Palazzo Chigi? Il giorno dopo l'entrata in carica del suo governo, il 23 febbraio 2014, lo spread era a quota 185. Come detto, è sceso più o meno costantemente fino a marzo 2015 (quando toccò il minimo di 90 punti) e durante quell'anno ha continuato ad oscillare tra i 100 e i 150 punti circa. Fino a fine ottobre 2016, escluso un picco a giugno, è rimasto costantemente sotto i 150 punti, per poi rimanere tra 160 e 180 negli ultimi due mesi dell'anno. Quando Renzi si è dimesso, il 5 dicembre 2016, lo spread era a quota 167 punti, meno di quando si insediò quasi tre anni prima, ma con un trend in crescita. Dopo le dimissioni di Renzi, lo spread è rimasto intorno ai 160 punti fino a fine gennaio, quando c'è stata l'ultima impennata che ha portato il differenziale coi Bund tedeschi a 200. Dunque Alfano ha ragione nel sostenere che il livello attuale di spread non ci sia mai stato durante gli anni del governo Renzi.

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