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Renzi-De Mita, scontro (a metà) sulla riforma

Renzi e De Mita

Luigi Frasca
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Una riforma costituzionale pasticciata e scritta male, secondo Ciriaco De Mita. Il futuro, per Matteo Renzi. Il confronto in tv a La7, arbitro Enrico Mentana, scorre lentamente. Le posizioni restano distanti. L'ex segretario Dc insiste: «La riforma è frettolosa per il modo com'è scritta, e l'ordinamento che si dà, non ha una sua razionalità». Il premier gli tiene testa: «Sei voti, 85 milioni di emendamenti. Una discussione più lunga di quella dell'assemblea costituente. Definire la riforma frettolosa è quanto meno suggestivo». Il dialogo tra i due s'era aperto all'insegna del galateo. Ciriaco De Mita ha dato del tu a Matteo Renzi, mentre il premier ha chiamato «presidente» l'ex segretario Dc. Giusto qualche frecciatina: «Ma io mica sono del Pd, dove parla solo lui», ha ironizzato De Mita evitando l'interruzione. «Io contesto che con te sia venuta la luce», ha aggiunto. E ha ripercorso gli anni della nascita del centrosinistra. «La riforma agraria fu fatta in due mesi». Questo perché, ha detto De Mita, a reggere il governo «non c'era una somma di forze politiche, ma una coalizione». Renzi ha replicato sostenendo che «nessuno di noi pensa che adesso"fiat lux". Ma di che parliamo, presidente? Il problema è che la volontà di fare le riforme si è scontrata negli anni con tre buchi nell'acqua». Ancora: «Per quale motivo, dopo aver bloccato per 35 anni il parlamento volete bloccare anche i prossimi?». Per De Mita «il presente si legge meglio se si conosce il passato. Il rischio per i rivoluzionari è di pensare solo al presente. Perché rischiano di essere battuti e dalla reazione e dalla conservazione». Nel confronto tv De Mita ha offerto al premier una soluzione di compromesso. «Si potrebbe dire: "andiamo avanti e aggiustiamo la riforma dopo". Questo mi parrebbe un discorso molto più intrigante e sollecitatore di riflessione da parte mia», ha detto l'ex segretario della Dc, che ha accusato Renzi di aver mancato «di senso estetico» nel prevedere che i consiglieri regionali possano far parte del nuovo Senato. Il premier ha guardato avanti: «Non cambiare le norme significa condannare il Paese all'immobilismo».

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