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Le capriole (discutibili) di Montesano Ma per noi resta sempre «er Pomata»

Roma, manifestazione del Movimento 5 Stelle

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Premessa: non è vero che le ideologie sono tutte morte. Una, infatti, ne è rimasta ed è la simpatia. Tradotto: c'è chi rimane irreparabilmente simpatico nonostante tutto. Enrico Montesano è uno di questi. La ragione è chiara: vinceranno sempre Er Pomata di Febbre da Cavallo, Evaristo Mazzetti, sguattero dei Grandi Magazzini, o Glauco Sperandio de I due Carabinieri sul copione da eroe civile che Montesano tenta di far digerire al pubblico, giù dal palco e lontano dal secco suono del ciack. Un copione che l'ha visto impegnato, ieri, alla «Notte dell'Onestà» a Roma promossa dal Movimento 5 Stelle. A lui, insieme alla Senatrice Paola Taverna, anche lei icona di verace romanità, è toccata l'apertura della kermesse, nel corso della quale si è lanciato in un sonetto riferito all'ormai mitologico «Mondo di Mezzo dei protagonisti di Mafia Capitale (“a me sembra tutto un carnevale, che non è uno scherzo e manco vale”). E poi non è mancata una fotografia della classe dirigente romana (“so' sempre pronti a sfrutta' la zinna della lupa de Roma nostra”) e punzecchiature al Sindaco Ignazio Marino per le condizioni pietose delle strade cittadine e per la celebre vicenda dell'automobile in sosta vietata. D'altronde, l'attore romano aveva affermato in un'intervista al Secolo XIX: «Come si fa a non aderire ad una manifestazione che è chiamata la Notte dell'Onestà». Argomento senza una piega, perché in perfetta coerenza con la dichiarazione d'amor politico che fece più di un anno fa, ottobre 2013, a «Un giorno da pecora»: «Ho votato 5 Stelle e lo rifarei”. E va bene che, come dice lui –e molti altri assieme a lui lo dimostrano tutti i giorni- la politica è l'arte del possibile, ma c'è una sbavatura nel copione, ravvisabile, forse, in troppi cambi di costume. Lo si può capire rimettendo indietro il nastro –per le metafore il Vhs rende meglio del Dvd - a oltre vent'anni fa, quando Montesano si affacciava alla politica istituzionale entrando al Consiglio comunale di Roma, per il Pds, addirittura sbancando da primo degli eletti con oltre 8 mila preferenze. L'anno dopo si dimette per andare a fare l'europarlamentare, sempre tra le fila della sinistra, per poi lasciare l'incarico a Strasburgo nel '96 prima che maturasse il vitalizio. La sua esperienza a sinistra non si esauriva nei Palazzi, ma si estendeva anche alle Feste dell'Unità dove si esibiva, applaudito e benvoluto. Un pedigree rosso fuoco, dunque, che tuttavia non lo sottrasse da una serie di flirt, più o meno clamorosi, con il centrodestra. Si parte dal mezzo endorsement nel 2001 a favore della candidatura di Antonio Tajani a Sindaco di Roma. Poi si annovera la sua illustre presenza ad una convention di Gianfranco Fini nel 2004, perché «qui c'è la vera anima sociale, l'attenzione verso i più deboli, la cura per chi è rimasto indietro», disse proprio al Tempo che lo intercettò al Palacongressi di Roma . «Stando qui - sosteneva- uno si sente socialista». Anche allora, come ieri sera, quindi, «non si poteva non andare». Ovvio, quando An stava al governo. E ancora non si poteva non andare nel 2008, con il centrodestra appena vittorioso alle elezioni politiche e lanciatissimo, con a capo Gianni Alemanno, nella conquista del Campidoglio. Il 24 aprile si chiudeva la campagna elettorale proprio contro Rutelli. Enrico è lì, in una piovosa Piazza Navona, intrisa non solo di acqua ma anche di berlusconismo, prendersela con Walter Veltroni, apostrofato come «Walter Disney» perché «ha trasformato Roma in Disneyland«. Eccolo poi, qualche anno dopo, nell'era della diffusa disillusione berlusconiana, cominciare la sua esperienza di indignato civismo, partecipando alle iniziative del Movimento Libertario o di quello fondato dall'imprenditore Maurizio Zamparini. Fino al «salto per eccellenza» nell'empireo dei ribelli da palcoscenico, incensato dal Movimento 5 Stelle. Simbolo, anche lui, di quel Paese che non ha minimamente mai pensato di aver bisogno di eroi, ma in compenso ha sete di commedianti, presentatori, cantanti che indichino una strada, va bene ognuna basta che sia «diversa». Beppe Grillo, certamente, ma anche Dario Fo, Fedez o anche, perché no, il Giancarlo Magalli dalla virtuale candidatura al Colle nata come fenomeno virale del web e che il diretto interessato vorrebbe trasformare in spaccato sociologico. Ognuno a rivendicare la propria granitica visione del mondo, ognuno a farsi serio per ricordarci che la situazione è grave. Come se non lo sapessimo già da soli. E se Magalli rimane un monumento alla Tv educata che fa il baciamano da casa alle attempate casalinghe, Montesano resta irrimediabilmente simpatico. Per merito nostro, però. Soltanto nostro. Perché mentre lui perde tempo ad abbracciare Grillo, noi abbiamo il buonsenso di tenerci ben stretto Er Pomata. E di non mollarlo più.

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