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Nasce «Cantachiaro» di Giovannini e Garinei

La prima rivista musicale firmata G&G rimarca la voglia di ridere dopo la guerra

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Firenze raggiunta dagli alleati. De Gaulle ha costituito il nuovo governo francese. Il prezzo del latte fissato a sette lire il litro. Dal 15 agosto cinquanta fiammiferi al giorno per ogni fumatore. Con la cedola n. 213 un uovo a persona nei quartieri Pigna, Ponte e Parione. Questi alcuni dei titoli che il nostro giornale riportava nei primi giorni della sua vita, nel lontano 1944. Erano momenti ancora drammatici: la tragedia della guerra si era lasciata Roma alle spalle, con i suoi dolori, le sue lacerazioni, ma si consumava ancora al Nord. Nella capitale, ormai libera, i giornali nuovi come Il Tempo si aprivano ai dibattiti, alla cronaca; ospitavano testimonianze su fatti e misfatti del regime; analizzavano criticamente errori del passato, nella certezza che una migliore conoscenza delle cause che avevano portato il Paese allo sfascio potesse aprire meglio le porte a una vera democrazia. Nascevano rubriche nuove, nuovi metodi di impaginazione. (...) La cosa che particolarmente colpisce sfogliando le pagine del «come eravamo» è la rubrica dedicata agli spettacoli. (...) Erano tempi in cui la gente, ancorché insicura, amava riscoprire la «Joie de vivre»; nelle strade si fischiettava il motivo di «Nannarè», un refrain triste, se si vuole, ma che dava spazio alla speranza, che si lasciava dietro le spalle un passato di costrizioni, di rinunce, di sofferenze, quasi a voler compendiare, in una strofa, quell'epigramma con cui Eduardo, con grande intuito, ha saputo saldare il remoto e il futuro nell'indimenticabile battuta finale di Napoli milionaria «'A ddà passà a' nuttata». Ma perché questi ricordi? (...) Perché sfogliando il giornale dell'epoca, il giornale, cioè di settant'anni fa, sono rimasto colpito da una notizia a una colonna, forse allora di poca importanza: l'annuncio, in data 30 agosto 1944, che il giorno successivo sarebbe andato in scena, al Quattro Fontane il nuovo spettacolo «Cantachiaro». Chi ha qualche anno in più, o chi, come me, è appassionato di teatro, sa certamente che questo titolo ha rappresentato e rappresenta tuttora, una svolta nuova di fare trattenimento. Non più la rivista comoda al regime, non più le «sviolinate» a quelli che contano, tra gli sbadigli degli spettatori, ma un modo del tutto originale di porgere le situazioni, anche le più scabrose, le più irritanti, con una ironia, una malizia, una aggressività filtrate da una scrittura e da un linguaggio sempre ironici, scanzonati, che arrivavano dritti al pubblico. Un pubblico che, coinvolto, partecipava, quasi fosse stato lui stesso a dire le cose che ascoltava. «Cantachiaro» ha, dunque settant'anni, quanti il nostro giornale; tutti e due nati per dire cose nuove, senza peli sulla lingua, in momenti difficili, quando tacere era senz'altro più comodo che parlare. Ma lasciamo da parte Il Tempo e occupiamoci, per un attimo, di questo spettacolo, antesignano di tanti altri che, negli anni successivi, hanno cercato di imitarlo. Sapete chi sono i due giovani che hanno esordito, in quell'occasione, come autori? Proprio Garinei e Giovannini, la ditta diventata poi famosa attraverso i tanti spettacoli che, ancora oggi, allietano le serate del Sistina. Sì, loro, Pietro Garinei e Sandro Giovannini. Lavoravano già, giovanissimi, in redazioni diverse: Garinei corrispondente romano della Gazzetta dello sport, Giovannini praticante al Littoriale, giornale sportivo poi diventato Corriere dello sport. Due anni più tardi, nel 1946, a bordo di uno sgangherato furgoncino 1100 seguirono come inviati per Il Tempo il Giro d'Italia che tornava dopo cinque anni di guerra. Le loro cronache erano brevi ma spassose. Più che di articoli si trattava di autentici sckeths che riscuotevano grandi consensi da parte dei nostri lettori. Garinei e Giovannini erano uniti da due interessi comuni, la passione per la Roma e la frenesia per lo spettacolo. (...) Lavoravano già, come collaboratori a un nuovo settimanale satirico che si chiamava, appunto «Cantachiaro», (uscito, guarda caso, il giorno dopo la liberazione di Roma, proprio come il nostro giornale); scrivevano raccontini umoristici già graffianti, ma lo spazio della pagina pareva loro un po' esiguo; volevano fare di più, volevano riportare «dal vivo» tutte le storie che i giornalisti dell'epoca si raccontavano, per tirar la notte, nella farmacia che la famiglia Garinei gestiva in Piazza San Silvestro. (...) Dire che il musical da noi sia nato tra alambicchi e ricette è forse esagerato, ma sta di fatto che se oggi assistiamo a spettacoli che la stessa Broadway ci invidia, non possiamo onestamente non riconoscere che questo genere di intrattenimento sia nato nel retrobottega di una farmacia al centro di Roma. Un giorno, mentre chiacchieravamo affacciati nell'ampio terrazzo di Palazzo Wedekind, chiesi a Garinei come gli era nata l'idea di trasferire sul palcoscenico le rubriche che lui e Giovannini scrivevano sul settimanale. «Perché non ci bastava la pagina - mi rispose - volevamo, io e Sandro, essere presenti in teatro. Ne parlavamo sempre in redazione, finché un giorno si presentò Remigio Paone, quello delle riviste di Wanda Osiris, dei grandi teatri di Milano. Ci ascoltò un po' e poi disse: beh, se proprio volete provare, cominciate a scrivere qualcosa, io posso aiutarvi. Fu così che cominciammo a buttar giù le prime pagine, ma mai pensavamo, allora, che quello che stava per uscire dalla macchina per scrivere sarebbe stato, poi, portato in scena nientemeno che dalla Magnani, da Marisa Merlini, da Guglielmo Barnabò, da Olga Villi, da Enrico Viarisio, da Carlo Ninchi, Luigi Pavese, tutti attori consacrati alla storia del teatro più serio, quello della prosa. La sera, e per tutta la notte, io e Giovannini ci ritiravamo in casa per buttar giù un copione che per noi era ormai diventato un impegno. L'impianto tecnico - artistico, diciamo così, era ormai realizzato: l'orchestra che si chiamava allora 013 era affidata a Piero Morgan (ovvero Piero Piccioni), le musiche originali erano del maestro Barberis, quello di «Munasterio e' Santa Chiara», la regia di Oreste Biancoli, un nome che costituiva una garanzia per il successo di uno spettacolo. Non mancavamo che noi, gli autori. Ma la cosa andò bene, e fu un vero «successo». E il successo fu davvero talmente grande che lo spettacolo dopo il Quattro Fontane fu replicato anche al teatro Valle, con l'ingresso in compagnia di Gino Cervi ed Aroldo Tieri. Un biglietto per la platea costava, allora, centocinquanta lire. Ma il problema non era tanto il prezzo quanto la possibilità per gli spettatori di raggiungere il teatro: c'erano le camionette, il potenziale pubblico doveva stringersi in piccoli trasporti d'emergenza che, spesso, lo portava parecchio distante costringendolo a lunghe passeggiate a piedi, senza la certezza del ritorno a casa; eppure la sala era sempre gremita; a leggere le cronache di allora si parla di gente aggrappata al lampadario; certo un'esagerazione ma dà l'idea di quanto fossero alti gli interessi e la passione degli spettatori per il «nuovo». Proprio quest'anno, nella prossima stagione teatrale, per festeggiare i 70 anni di «Cantachiaro», Pippo Baudo ed Enrico Montesano metteranno in scena, al Sistina, uno spettacolo che ripercorrerà la lunga storia delle commedie musicali ideate e realizzate dalla premiata ditta G e G.

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