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Bus e tangenti.

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LaProcura ha avviato una rogatoria per ricostruire i movimenti di denaro che sarebbe servito a pagare la presunta mazzetta per l'acquisto di 45 filobus da parte del Comune di Roma, destinati al corridoio Laurentina. L'accertamento Oltralpe è stato affidato alla Guardia di finanza. Il motivo del viaggio sta nelle parole dell'imprenditore veronese, da 40 anni nella Repubblica Ceca, Edoardo D'Inca Levis. Nei giorni scorsi, ha fatto i conti al Gip: «Io materialmente ho dato ordine alla banca di consegnare la somma di 233.360,00 euro in data 16 marzo 2009 e la somma di 312 mila euro in data 24 settembre 2009, somme che Ceraudo mi ha confermato di avere ricevuto. La terza tranche pari ad euro 204.100,00 è stata da me bonificata in data 17 luglio 2009 su un conto presso Bsi Sa Lugano indicatomi da Ceraudo». L'indagine è un terremoto, anche politico. Ieri pomeriggio il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha replicato a chi da sinistra voleva le sue dimissioni. Ad accendere le polveri sempre le dichiarazioni di D'Inca Levis, la sua telefonata su Skype e gli appettiti della Lobby Rome: «Ceraudo fece riferimento alla segreteria di Alemanno come destinataria delle risorse finanziarie». Sospetti tutti da verificare. «Il signor Edoardo D'Inca Levis - spiega il suo legale, l'avvocato Alessandro Diddi - ha fornito documentazione inconfutabile di ciò che è accaduto ed altra ne consegnerà nei prossimi giorni, così che potranno essere messe a tacere tutte le illazioni riguardanti possibili strumentalizzazioni politiche alle quali il mio assistito si sarebbe prestato attraverso insinuazioni. Non è un "oscuro personaggio" come qualcuno, incautamente, lo ha definito - ha aggiunto l'avvocato Diddi - è un rispettabilissimo imprenditore che si è trovato suo malgrado coinvolto in una vicenda che ha potuto chiarire immediatamente. Forse, ancora una volta, sarebbe stato più utile riflettere prima di accusare ingiustamente chi si è difeso semplicemente dicendo il vero ed avere fiducia nel lavoro della magistratura che con estrema cautela si sta muovendo in questa vicenda. L'imprenditore - ha concluso il difensore - non è in alcun modo privato della sua libertà personale. Non è in stato di arresto e non è nemmeno agli arresti domiciliari». Al momento sono sei le persone finite nel mirino della magistratura. L'ex ad di Ente Eur spa Riccardo Mancini, l'ex ad di Breda Menarinibus Roberto Ceraudo, l'imprenditore Edoardo D'Inca Levis, l'ex responsabile relazioni esterne di Finmeccanica Lorenzo Borgogni, l'ex consulente esterno di Finmeccanica Lorenzo Cola e il commercialista Marco Iannilli. All'inizio, a parlare di bus Breda Menarini, Comune di Roma e tangenti è stato il commercialista Iannilli e costituisce uno stralcio dell'indagine Enav e Selex. Da qui le perquisizioni del nucleo tributario della Guardia di finanza e dei carabinieri del Ros. Secondo gli inquirenti, l'ex ad di Breda Menarini Bus, Roberto Ceraudo, e il commercialista Marco Iannilli «erogavano a Mancini la somma di euro 150 mila, a fronte di una promessa di euro 500 mila» affinché facesse pressioni «sulle società assegnatarie dell'appalto aggiudicato il 20 novembre 2008 perché la fornitura di 45 filobus fosse subappaltata alla Breda Menarini bus». Mancini viene indicato come una sorta di emissario «espressione di incaricati di pubblico servizio ancora da individuare, organi di Roma Metropolitane spa, società posseduta ai 100% da Roma Capitale e stazione appaltante». In particolare l'ad dell'Ente Eur Riccardo Mancini è sospettato di avere oliato il meccanismo degli accordi e di avere fatto da garante per il pagamento della tangente. Agli indagati la Procura contesta anche un episodio di frode fiscale. Nel decreto di perquisizione viene detto che Ceraudo «al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto, avvalendosi di una fattura rilasciata dalla società Giklona (riconducibile a Iannilli) a fronte di operazioni inesistenti, dichiarava elementi passivi fittizi pari a 100 mila euro». Il presunto trucco è spiegato così: tra Iannilli («in qualità di dominus della Giklona») e Mancini fu trovato un accordo in modo che il commercialista, per «consentire alla Breda l'evasione delle imposte, emettesse in favore di quest'ultima una fattura per 100 mila euro a fronte di una operazione inesistente rappresentata da una finta consulenza». L'imprenditore D'Inca Levis ha detto agli inquirenti che il suo ruolo nella vicenda è stato procacciare denaro in nero col quale la Breda avrebbe pagato la mazzetta.Fab. Dic.

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