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«Me ne vado», l'ultimo tormentone del Cav

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Dal «Kapò» a Schultz fino al «me ne frego» dello spread, le frasi «estreme» di Silvio

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Sialza e si siede come per dare ritmo al suo interloquire, un uno-due da gladiatore e vittima insieme - «guardi, me ne vado» - che costringe Giletti a rifugiarsi in una battuta inelegante: «Capisco che lei è abituato a Barbara D'Urso» (ndr, conduttrice di Domenica Live, su Canale 5). Resta Silvio Berlusconi, a parlare in una domenica italiana, e chi lo smuove più! Resta pure in politica, per la sesta volta da quel 1994 che vide la sua discesa in campo, a mezzo videomessaggio: «L'Italia è il Paese che amo». Amò meno, nel 2006, anno di campagna elettorale - la quarta del Cavaliere - Lucia Annunziata che lo intervistava a «In Mezz'ora» e lì davvero se ne andò (chissà, forse anche perché il pubblico della terza rete, la domenica pomeriggio, poco ha a che vedere con quello di Rai 1, più popolare come target): «Lei mi ha fatto delle domande e mi deve lasciar rispondere... Io mi alzo e me ne vado... Lei non decide per me e io non decido per lei... Io sono un liberale... Arrivederci signora». Uno che si alzò (dopo che Berlusconi gli aveva chiesto di dimettersi) fu pure Gianfranco Fini, alla direzione nazionale del Pdl, col dito indice alzato a protestare: «Che fai mi cacci?». Quelli di Futuro e Libertà, partito fondato da Fini dopo l'addio al Pdl, ci faranno pure le t-shirt su quella frase ma con scarsa fortuna (elettorale, s'intende). Perché nel rap e nel frasario della politica italiana Berlusconi è immortale, un Highlander della battuta, della gaffe studiata, della barzelletta, del tormentone. Del resto mentre in politica la sua rivoluzione liberale è fallita, in televisione quella commerciale e di linguaggio - da imprenditore - gli è riuscita. Un battutista inarrestabile, il Cav. Al malcapitato Martin Schultz, esponente della Spd tedesca, nel 2003 a Strasburgo, replicò alle critiche dandogli del kapò: «In Italia stanno preparando - disse - un film sui campi di concentramento, la proporrò per il ruolo di kapò». Per non parlare delle corna nelle foto di gruppo, da adolescente impenitente che ti frega al momento dello scatto ricordo, o della finta smitragliata ai giornalisti, fatta con dita e braccia, in occasione di una conferenza stampa con Putin. Gestualità, parole, tutto si coagula nel linguaggio comunicativo di Berlusconi, in questi 18 anni di politica. La telefonata confidenziale che gli fa ignorare Angela Merkel, all'arrivo ad un vertice internazionale, il me ne frego dello spread - «Che c'importa» - dopo un anno in cui gli italiani gli son stati appesi (allo spread) come uva alle viti. O la gaffe con la Regina d'Inghilterra, ad un G20, quando per salutare Barack Obama (il signore abbronzato) il Cav si fece chiassoso a tal punto da suscitare il regale fastidio. Dulcis in fundo - non esaustivo perché con Berlusconi la materia si farebbe assai vasta - le donne e la cucina. Solo lui poteva dire agli investitori di New York di trasferirsi in Italia perché le segretarie sono più belle oppure - e qui siamo al confine tra donna & cibo - vantarsi di aver rispolverato il fascino da playboy per convincere il Primo Ministro della Finlandia, una signora, ad istituire l'Unione europea per la sicurezza alimentare a Parma perché in Italia si mangia bene e la città emiliana è famosa per il suo prosciutto e poi, «come si potrebbe dare la sede alla Finlandia, dove si mangia malissimo e solo renna marinata?». Perché sarà pure amante di Gilbert Becaud, il Cavaliere, ma di «je partirai» (di lasciare) non ne vuol sapere. Alla litania del francese stavolta (l'ennesima?) preferisce il romanesco sapido di un Califano: «E chi se move, fori fa pure freddo. E come piove».

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