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Ingroia resta solo a combattere la Consulta

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Il magistrato attacca la decisione sul ricorso del Capo dello Stato: «Ha vinto la politica»

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LaCorte Costituzionale ammette il ricorso presentato da Giorgio Napolitano e ordina la distruzione delle intercettazioni delle telefonate tra il Capo dello Stato e l'allora vicepresidente del Csm Nicola Mancino, Antonio Ingroia, a «quotidiani unificati» (interviste a Corriere della Sera, Repubblica, Messaggero e Fatto Quotidiano ndr), fa la vittima e accusa: «Le ragioni della politica hanno prevalso su quelle del diritto. La sentenza della Corte costituzionale rappresenta un brusco arretramento rispetto al principio di uguaglianza e all'equilibrio fra i poteri dello Stato». Se non si trattasse dell'ex procuratore aggiunto di Palermo ci si aspetterebbe, subito dopo, un bel «giudici comunisti». Difficile, infatti, non notare che l'attacco di Ingroia somiglia a quelli che Silvio Berlusconi lanciava contro la Consulta. Così come è difficile non notare che lo stesso Fatto Quotidiano che oggi in prima pagina parla di «Corte cortigiana», l'8 ottobre 2009, dopo la bocciatura del Lodo Alfano, pubblicava un editoriale del direttore Antonio Padellaro che così cominciava: «Prima di tutto un grazie riconoscente ai nove giudici della Corte Costituzionale che hanno detto basta all'impunità di uno soltanto». Certo, in questi tre anni la composizione della Consulta è cambiata, ma fa un po' impressione vedere come una decisione contraria alla propria idea di giustizia, possa trasformare un baluardo della democrazia in un «consesso di sudditi». Anche per questo, mentre il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri parla di sentenza «molto bella e molto attesa rispetto alla quale siamo molto contenti», Csm e Anm si schierano a difesa dei giudici costituzionali. «La Corte - avverte il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Michele Vietti - è una delle massime istituzioni e la sua autonomia e indipendenza non può essere messa in discussione da alcuno, in particolare da chi ricopre incarichi pubblici. Qualche volte le parole sono fuorvianti, qui si parla di conflitto ma in realtà non si vuole far riferimento a un contrasto ma semplicemente ad un'azione di regolamento dei confini tra poteri dello Stato». Sulla stessa lunghezza d'onda l'Associazione nazionale magistrati: «Il ricorso alla Corte Costituzionale e le conseguenti decisioni rappresentano il momento istituzionale più elevato di affermazione dei valori e dei principi di garanzia della nostra Costituzione. Va respinta ogni strumentalizzazione volta ad attribuire a tali elevati meccanismi di garanzia logiche politiche o di contrapposizione fra poteri». «La Corte per indipendenza e autorevolezza dà ogni garanzia - sottolinea il presidente del sindacato delle toghe Rodolfo Sabelli -. Quindi non si può parlare di decisione politica, né intendere il conflitto in termini di contrapposizione tra poteri dello Stato». Ma nonostante le critiche che arrivano da ogni parte, Ingroia non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro. Anzi, intervistato da Enrico Mentana al Tg La7, prende di mira il numero uno dell'Anm: «Le parole di Sabelli dimostrano che ci siamo dimenticati che il diritto di critica può essere rivolto nei confronti di chiunque, anche nei confronti della sentenza». «La mia - prosegue - è una critica nei confronti del comunicato stampa della Corte costituzionale. Poi leggerò le motivazioni, ma da quello che leggo derivano motivi miei di preoccupazione rispetto al fatto che questa sentenza abbia troppo risentito delle possibili ripercussioni politiche della decisione». In ogni caso il magistrato ci tiene a sottolineare che la sua posizione non ha nulla a che vedere con ipotetiche candidature alle prossime elezioni: «Le mie considerazioni a volte anche critiche nei confronti delle sentenze, come è stato contro quella della Cassazione sul processo dell'Utri, le ho fatte anche quando ero magistrato. La politica non c'entra nulla». Nic. Imb.

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