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Le pazze idee del Cav? Restano le migliori che ha il Pdl

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Quel richiamo di Silvio Berlusconi, ieri, alle «cento battaglie» combattute per raccogliere «vittorie e sconfitte, come sempre è nella politica e nella vita», ha forse indotto qualcuno dei suoi tanti avversari, rimasti numerosi anche dopo i passi indietro o di lato da lui compiuti negli ultimi mesi, a chiedersi a quale Napoleone poterlo paragonare. A quello dell'Elba, per niente rassegnato alla disfatta e impegnato a tentare la sua disperata rivincita, destinata però a durare i soli e famosi cento giorni? O a quello di Sant'Elena, confinato in un'isola troppo lontana per fargli venire l'idea di rimettersi in gioco? Di emuli di Napoleone, a loro stessa insaputa, già il buon Giulio Andreotti negli anni più fortunati e disincantati della sua lunga esperienza politica soleva ogni tanto segnalare sarcasticamente la presenza per contrapporre ai loro sogni di gloria la concretezza della sua «aurea mediocrità», come lui stesso si divertiva a definirla. Tra i napoleonidi egli soleva classificare, fra gli altri, quelli che nella sua Dc reclamavano la fine delle correnti o nei giornali, oltre che nelle stazioni, una gestione delle Ferrovie dello Stato finalmente capace di fare arrivare e partire i treni in orario anche in Italia. Dove lui si accontentava che i ritardi si riducessero il più possibile. Che era un po' l'anticipo di quella filosofia di governo per cui «è meglio tirare a campare che tirare le cuoia». A questa filosofia è toccato di adattarsi qualche volta, se non spesso, anche a napoleonidi più o meno avvertiti o autentici, compreso il Cavaliere, almeno nella percezione dei suoi avversari o critici più acrimoniosi. Che proprio per questa sua disponibilità all'adattamento anche alle circostanze più sfortunate e scomode dovrebbero smetterla di scambiarlo per quello che non è, e neppure lui si sente, anche quando glielo dicono con il loro affetto ingenuo i nipotini ricevendone promesse e regali: un superman, visto che non hanno l'età per conoscere la storia di Napoleone e immaginare il nonno come un suo emulo. Arrivato alla politica e alla guida del governo diciotto anni fa proponendosi di rivoltare la prima e il secondo come un calzino, con un'opera di riforma finalmente radicale dello Stato, in un momento peraltro tanto drammatico quanto inquietante, essendosi proposti di rivoltare il Paese appunto come un calzino anche i magistrati della Procura di Milano, imitati da un numero crescente di colleghi e di uffici, Berlusconi ha dovuto poco napoleonicamente fermarsi o arretrare più volte. E ciò è accaduto per i suoi errori, di certo, come gli abbiamo ripetutamente rimproverato anche noi, qui, a Il Tempo, pur apprezzandone i progetti politici e la buona volontà. Ma anche, e spesso soprattutto, per i limiti dei suoi alleati. Fra i quali i leghisti, messisi di traverso nella scorsa estate sulla strada delle misure necessarie per fronteggiare la crisi economica e finanziaria, sono stati solo gli ultimi, non gli unici. Preceduti in anni non proprio lontani dalla destra di Gianfranco Fini e dai centristi di Pier Ferdinando Casini, che quando stavano con il Cavaliere gli impedirono, fra l'altro, la riduzione delle tasse e il contenimento della spesa pubblica, per esempio nel settore del pubblico impiego. Adesso tutto è peggiorato. Il Pdl è in crisi, quasi in evaporazione, anche se Berlusconi non se lo vuole sentir dire, ritenendo forse sufficiente che a saperlo sia lui. Che sa pure di non avere più personalmente il vento sulle vele, neppure quando cerca di soffiarlo con battute e «idee pazze», per ripetere le sue stesse parole, come quella di stampare euro per conto nostro o di uscirne, vista la vita impossibile che vuole propinare all'Europa la cancelliera tedesca fra le proteste e le preoccupazioni dei suoi stessi predecessori. Ma, per quanto «pazze», per quanto fantasiose, per quanto provocatorie, per quanto pronunciate nei panni di «allenatore» e non più di centravanti o capitano della sua squadra, scendendo alle immagini calcistiche che gli sono care e congeniali, quelle di Berlusconi continuano ad essere le sole, o le migliori, di cui disponga il Pdl. E Dio solo sa se potranno bastare a tirare fuori il partito ancora più rappresentato in Parlamento dal drammatico dilemma che il Cavaliere ieri, da uomo «positivo e costruttivo», ha voluto rifiutare contestando sia chi lo spinge a fare piazza pulita di tutto il «gruppo dirigente» sia chi spinge quest'ultimo a fare finalmente piazza pulita di lui.

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