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Sognano Palazzo Chigi ma sono già nel caos

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Dopo l'ultimatum di Vendola e Di Pietro nel Pd riappare la spaccatura tra moderati e sinistra

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Chissàse avrebbe scritto, con la stessa certezza, che «Omnia mutantur» (Tutto muta). Perché passano gli anni, cadono i governi, ma il centrosinistra rimane sempre uguale a se stesso: un grande guazzabuglio. E nemmeno l'esperienza basta a non ripetere gli errori del passato. Due date: 21 ottobre 1998, 6 maggio 2008. Sono i giorni che, formalmente, segnano la fine del primo e del secondo esecutivo Prodi. Anni segnati dalle stesse polemiche, dalle stesse divisioni, dai partiti minori pronti a compromettere la sopravvivenza della maggioranza pur di vincere le proprie battaglie. Certo, qualcuno potrebbe far notare che nel 1998, dopo il Professore, il centrosinistra rimase a Palazzo Chigi con Massimo D'Alema. Bilancio? Un governo dal 1998 al 1999 e uno dal 1999 al 2000. Il punto è che il Pd, per vincere, non può fare a meno degli alleati con cui, nonostante tutto, ha condiviso gran parte della strada percorsa dal 1994 ad oggi. E con i quali puntualmente si trova poi a litigare. A ben vedere anche il Pdl, con la Lega, era in una situazione molto simile. Ma quando si parla di Democratici i problemi aumentano. Quello che è successo tra sabato e ieri ne è la dimostrazione lampante. Nichi Vendola e Antonio Di Pietro hanno infatti rovinato i piani di Pier Luigi Bersani mettendolo con le spalle al muro: o costruiamo insieme il centrosinistra del futuro o noi andiamo avanti da soli. Il segretario non ha replicato anche perché domani, dopo la direzione del partito, lancerà l'annunciato «appello ai progressisti e riformisti» che dovrebbe costituire la base per il successo alle Politiche 2013. Peccato che l'ultimatum di Sel e Idv abbia già diviso i Democratici. Da un lato quelli che ritengono irrinunciabile l'alleanza con Vendola e Di Pietro. O che, come Nicola Latorre, ipotizzano addirittura un listone unico in cui far confluire Pd, Sel, «i movimenti, le associazioni ed esponenti della società civile». Dall'altro quelli che, invece, vorrebbero un partito meno schiacciato a sinistra e alla conquista dei voti moderati. E il «sospetto» di Rosy Bindi, intervistata da Repubblica, è che gli "alleati" vogliano «bloccare il confronto con l'altra componente del nostro progetto, l'area moderata. Non mi piacciono gli ultimatum. E le minacce». Mentre Marco Follini è ancora più diretto e ironizzando sulla foto scattata nello studio di In Onda con Nichi e Tonino divisi da una sagoma di cartone di Pier Luigi, avverte: «Lasciamo il Bersani di cartone a Vendola e Di Pietro e portiamo il Pd ed il Bersani in carne ed ossa da un'altra parte». Insomma per il segretario del Pd non sarà semplice tenere insieme il proprio partito e un'alleanza che, già oggi, si mostra alquanto problematica. Anche perché, dall'altra parte, c'è Pier Ferdinando Casini che dall'Argentina provoca: «Se Bersani parte accettando gli ultimatum di Antonio Di Pietro e Nichi Vendola non andrà molto lontano». Ma i due non si lasciano intimorire. «Non c'è ultimatum o minaccia da parte nostra - spiega il governatore della Puglia -. Penso invece che sia stato il popolo italiano ad aver lanciato un ultimatum alla politica, in particolare al centrosinistra». E in un impeto di fiducia ammette di aspettarsi «molto» dalla direzione del Pd di domani. Deciso per le sua strada anche l'ex pm: «Per noi dell'Idv la coalizione che può vincere le elezioni dave partire dalla foto di Vasto. Stiamo preparando un programma che metta al primo posto il lavoro, l'equità sociale, la legalità, la lossta all'evasione e alla corruzione, una seria riforma della Rai». A Bersani la prossima mossa.

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