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Barbara Mennitti BRINDISI Un diario di scuola abbandonato sull'asfalto, sporco, rotto, con le pagine agitate scompostamente dal vento di questa primavera che non arriva.

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Nonqui, almeno. L'aria porta ancora con sé l'odore acre dell'esplosione, la zona è disseminata di zainetti, libri, quaderni, brandelli di abiti e «di carne - ci avvisano - anneriti dall'esplosione». Un teatro di guerra incastonato fra i palazzi del quartiere Sant'Angelo. La città ancora non respira, il silenzio è quasi irreale, gli sguardi si incrociano e nessuno trova parole adeguate a commentare quello che è successo. Non i cittadini, non i politici, non i giornalisti e persino le forze dell'ordine hanno un'espressione smarrita. Un attentato all'ingresso di una scuola non ha precedenti in Italia e una cosa sola sembra certa: chi ha piazzato quell'ordigno, con l'innesco puntato all'ora dell'ingresso in aula, voleva fare una strage. Qui, a Brindisi, una strage di ragazzini con gli zaini in spalla e i diari pieni di sogni e di amori adolescenziali. È davvero troppo per tutti. Intanto la notizia peggiore è già arrivata. Melissa Bassi di 16 anni, mesagnese, non ce l'ha fatta. È morta all'ospedale Perrino, con il corpo devastato dalle ustioni e le sue ambizioni di stilista spente prima ancora di essere messe alla prova della vita. Altre cinque ragazze sono ricoverate in gravi condizioni e più volte circolerà la notizia di un secondo decesso, più volte smentito. Di coincidenze, in questo 19 maggio 2012, ce ne sono tante, come le ipotesi che si susseguono nel corso della mattinata. La scuola è intestata a Francesca Morvillo, vittima dell'attentato di Capaci di cui fra poco ricorre l'anniversario; in giornata era previsto in città il passaggio della «Carovana della legalità»; le ragazze coinvolte nell'attentato sono di Mesagne, paese culla della Sacra Corona Unita. Si fa in fretta il collegamento e si parla di attentato mafioso. Ipotesi che lascia sconcertati, perché Brindisi è sì una città con molti problemi, anche con innegabili problemi di criminalità, ma non tali da rendere immaginabile un attentato di questa portata. Questa città non è una roccaforte della mafia, non è abituata alle sparatorie per strada o ai regolamenti di conti fra bande. Le bombe qui le avevamo viste contro «le cose», magari per convincere qualcuno a pagare il pizzo, ma mai contro le persone e la Puglia, in fondo, è stata l'unica regione del Sud in cui lo Stato ha contrastato con successo la criminalità organizzata. Brindisi non è il far west, è solo una cittadina del Sud con i suoi problemi, ma anche con una società civile che cerca di essere più forte di quella incivile. E poi che interesse potrebbe avere la mafia a colpire una scuola? Qualcuno commenta: «Mi ricorda Piazza Fontana», evocando fantasmi e trame innominabili, strategie della tensione e tutto l'armamentario degli anni '70, un incubo che pareva sopito che invece sembra potersi rimaterializzare qui, a Brindisi. Proprio oggi, davanti ad un istituto tecnico professionale. Qualcun altro fa il collegamento con l'attentato al manager di Ansaldo Adinolfi, gambizzato dagli anarchici lo scorso 7 maggio a Genova. Si parla di gruppi eversivi, di membra impazzite di un corpo senza testa che cercano di accreditarsi fra loro a suon di atrocità. In questo momento tutte le ipotesi sono attendibili e tutte sembrano ugualmente assurde. L'unica certezza, oggi, è che Melissa Bassi ha pagato un tributo che non doveva pagare e che la città scende nelle strade per difendere se stessa e i suoi figli. Oggi i brindisini alzano la testa per guardare negli occhi chi ha messo una bomba davanti a una scuola. Chiunque egli sia. Per dire che no, non riusciranno a far prevalere la loro inciviltà.

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