Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Monti avverte: potremmo non restare

Esplora:
Il premier Mario Monti (D) e il presidente della Corea del Sud Lee Myung-bak (S)

  • a
  • a
  • a

«Se il Paese non si sente pronto, potremmo non restare». Mentre divampa la polemica sulla riforma del lavoro con i sindacati sulle barricate e i partiti pronti all'assalto del testo non appena comincerà l'iter parlamentare, il premier Mario Monti da Seoul lancia una sorta di ultimatum. «Se attraverso le sue forze sociali e politiche» il Paese «non si sente pronto per quello che noi riteniamo un buon lavoro», ovvero quello sulla riforma del lavoro, «non chiederemmo di continuare per arrivare a una certa data», cioè alle elezioni politiche del 2013. Poi sottolinea che l'Italia «si è mostrata più pronta del previsto» e quindi occorre andare avanti. Quindi ricorda l'obiettivo per cui è nato il governo tecnico che è «di fare un'azione nell'interesse generale»; ne consegue l'indisponibilità a una sopravvivenza del governo, in mancanza di risultati. E a marcare la differenza con la politica ricorda che «un celebre uomo politico» (Andreotti) era solito dire «meglio tirare a campare che tirare le cuoia». Ma «per noi - afferma Monti - non vale nessuna delle due espressioni perchè l'obiettivo è molto più ambizioso della durata, ed è fare un buon lavoro». Pertanto non serve agitare lo spettro di una crisi sulla riforma del mercato del lavoro, perchè, avverte, «rifiuterei il concetto stesso di crisi». Dopo gli incontri bilaterali con i primi ministri di Singapore e Canada, Monti dice di essersi reso conto che Paesi sede di fondi sovrani e istituzioni private che investono anche nel nostro Paese hanno «il palpabile desiderio di capire se, come e quanto intensificare i loro investimenti in Italia». Il timore è per quello che potrebbe accadere dopo il 2013. La preoccupazione è per il ritorno di «vecchi vizi» come l'invadenza della politica nell'economia. Non solo. In questo particolare momento «l'opinione pubblica ha mostrato una crescente maturità e la disponibilità a sopportare sacrifici anche pensanti perché ne hanno compreso la necessità». Pertanto quando tornerà la politica «non sarà più quella tradizionale perché avrà fatto tesoro degli stati d'animo degli italiani, diventati più esigenti verso chi governa». E se finora «qualche segno di scarso gradimento c'è stato è andato verso altri protagonisti del percorso politico. Ma non verso il governo». Il premier non nasconde di sentire «il peso di decisioni non facili» e spiega che con un decreto «sarebbe venuta meno la qualità». Inoltre, spiega che «se fossimo stati più comprensivi verso le richieste della Cgil non sarebbe stato senza conseguenza al tavolo da parte degli altri sindacati e, soprattutto, della Confindustria». Monti è anche intervenuto sulla questione del nucleare ribadendo «il forte interesse dell'Italia per la sicurezza nucleare» e l'intenzione di rendere permanente la Scuola di Trieste. Quindi auspica «un rafforzamento della sicurezza con l'introduzione di verifiche internazionali obbligatorie». L'incidente di Fukushima ha dimostrato che le conseguenze di un simile evento «non conoscono confini, e dunque non dovrebbe conoscere confini neanche l'adozione di standard di sicurezza più stringenti». Mentre il premier indica che ora l'obiettivo è convincere il Parlamento che si tratta di una buona riforma, il ministro del Lavoro Elsa Fornero è più tranchant. «Spero che i partiti capiscano: modifiche se ne possono fare, ma il governo non accetterà che questo disegno di legge venga snaturato o sia ridotto in polpette». Il ministro concede che «qualche cambiamento possa esserci» ma chiede al Parlamento che «ne rispetti l'impianto e i principi basilari. In caso contrario dovrà assumersi le sue responsabilità e il governo farà le sue valutazioni». Quanto al controverso articolo 18, Fornero osserva che «il senso della nostra riforma è chiaro: nei licenziamenti per motivi economici oggettivi è previsto l'istituto dell'indennizzo e non quello del reintegro. Poi sottolinea che «non ci sarà nessuna macelleria sociale. Non distruggiamo i diritti di nessuno».

Dai blog