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Tessere e voti non bastano. Occorrono idee

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La crisi di Pdl e Pd sta arrivando rapidamente a un punto di svolta. Il centrodestra fa i conti con la fase finale del berlusconismo, mentre il centrosinistra è alle prese con il cortocircuito dell'illusione democratica. Entrambi i partiti sono elementi portanti del sistema, senza questi due soggetti salta quel che resta del bipolarismo, ma il loro deficit di fiducia presso l'elettorato e la barocca organizzazione interna ne stanno minando l'esistenza. Il Pdl con la scelta di affidare la segreteria a un giovane come Angelino Alfano ha cominciato a separare il ruolo del leader carismatico da quello dell'interprete della linea politica. Operazione difficile ma non impossibile, a patto che si evitino strappi, la linea sia una sola e non si dia l'impressione che il Delfino è impigliato nella rete del Cavaliere. Il Pd è uscito dalla stagione di Walter Veltroni - le cui dimissioni appaiono oggi precipitose e sbagliate - con un nuovo segretario, Pier Luigi Bersani, che sbanda a sinistra, fatica a tenere la guida al centro della corsia e si fa mangiare il battistrada dai dragster Di Pietro e Vendola. A poco più di un anno dalle elezioni del 2013 lo scenario è a dir poco magmatico. Nei partiti c'è bisogno di aria nuova, serve un rinnovo radicale della classe dirigente ma, nel cercare una soluzione intermedia tra innovazione e autoconservazione, si espongono a gravi errori (la gestione dei congressi nel Pdl ha scoperchiato il problema del falso tesseramento e dei ras locali) e mostrano masochistiche strategie sulla selezione dei candidati (le ultime sconfitte dei democratici nelle primarie di Genova e Palermo). Non sono crisi speculari, ma il contesto è comune: a Palazzo Chigi c'è un governo tecnocratico, la recessione sta innescando movimenti di protesta che trovano un clima favorevole per alimentare l'antipolitica. Dov'è la risposta di Pdl e Pd? Tutti sembrano camminare a tentoni nel buio, mentre piano piano si sta realizzando un paradosso tipico dell'Italia: il provvisorio «SuperMario» dell'emergenza rischia di diventare il permanente Monti della normalità.  

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