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La «piazzetta».

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Unpurgatorio, insomma, che in molti, soprattutto tra gli operatori sanitari, non hanno timore nel paragonare ad un «girone infernale». Cinquanta metri quadrati scarsi, una decina di barelle accostate l'una accanto all'altra, divise da un muro sottile. Un silenzio irreale pervade la stanza, mentre i pazienti - soprattutto anziani - cercano lo sguardo amico di qualcuno. Sembrano smarriti, persi tra le luci al neon. Un infermiere si avvicina per sincerarsi delle loro condizioni, poi viene richiamato dal medico e si affretta a raggiungere il box delle visite. Il volto dei pazienti è coperto a metà dalle maschere dell'ossigeno, i loro occhi si chiudono per riposare un pò. L'attesa, nella «piazzetta», potrebbe durare giorni, a volte anche un intero mese, come confermano alcuni operatori dell'ospedale. E pensare che quella stanza è stata pensata per una «degenza» breve, nell'attesa solo del trasferimento al reparto o delle dimissioni. E invece giorno dopo giorno i pazienti aumentano, vengono stipati nei corridoi ed in un paio di stanzette. Non sono rari i casi in cui le barelle accatastate sono 30-35, ma in alcuni giorni raggiungono anche le cinquanta. «In media - dice un medico - qui si resta dai 5 giorni a una settimana. I sanitari fanno tutto quello che possono, ma purtroppo non riescono a sopperire alla mancanza di personale. Basti pensare che la maggior parte degli infermieri che si occupa della "piazzetta" sono della cooperativa sociale Osa, una società esterna». Nella sala d'attesa dell'Umberto I ci sono invece i parenti, il cui accesso nella «piazzetta» è off-limits. Non sanno che i loro cari potrebbero restare per giorni su una barella, senza un letto e un posto in un reparto. «Ora la situazione è decisamente migliorata, dopo la notizia della donna - racconta un medico - ma qui ogni giorno è sempre la stessa storia. Manca il personale e per forza di cose si dilatano i tempi per le visite». E così c'è chi dal Pronto soccorso viene trasferito in reparto, ma nel corridoio. In serata, infatti, non è difficile imbattersi in qualche barella sistemata in corsia, trasformata in «tavolo» da pranzo. Qualche paziente si fa prestare una sedia dagli infermieri, sistema il vassoio sulla barella e comincia a mangiare. Dà uno sguardo nella stanza che ha di fronte, con la speranza che domani uno di quei letti possa essere il suo. «La nostra è una situazione di emergenza nell'emergenza. Siamo i primi a essere bersagliati ma qui spesso si lavora in condizioni tragiche, come se fossimo nella tenda della Croce Rossa di un campo militare. A volte ci troviamo a gestire anche 45 o 50 persone in contemporanea all'interno del pronto soccorso», racconta un operatore sanitario dell'Umberto I. Qui, nell'avamposto medico di uno degli ospedali più grandi d'Italia, i medici combattono, non solo contro la morte, ma anche contro burocrazia, tagli alle spese e al personale. E ogni giorno «si va alla guerra». «Rischiamo ogni giorno e mettiamo a repentaglio la nostra professionalità ma l'obiettivo è salvare vite umane - spiega un medico - dunque anche su una barella, sì, anche nel sovraffollamento noi teniamo fede al giuramento d'Ippocrate. E ci prendiamo delle responsabilità solo per aiutare chi sta male». La Piazzetta è insomma «un campo di battaglia». Tra i problemi sovraffollamento, continuo afflusso di malati, mancanza di barelle, impossibilità di ricoveri in tempi brevi. «Ci sono pochissimi medici che fanno la spola tra un paziente e l'altro. Ce ne sono solo tre per turno. Nella "piazzetta" in una situazione di promiscuità, effettivamente è inaccettabile, quelle persone attendono il loro destino. Qui è come se fossimo in guerra, arrivano continuamente persone bisognose».

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