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La Merkel carica Monti "L'Italia convincerà i mercati"

Da sinistra il cancelliere Merkel e il premier Monti

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Da stamattina presto, da quando i mercati asiatici avranno dato il primo segnale concreto dell'effetto del declassamento da parte di Standard&Poor's venerdì scorso di 9 paesi dei 17 dell'Eurogruppo, in una stanza della Banca Centrale Europea un gruppo di funzionari saranno con gli occhi incollati ai monitor che registrano i valori dello spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi. Pronti a stendere la rete di sicurezza attorno ai titoli italiani. Spareranno per tutta la giornata liquidità sui mercati comprando le quantità necessarie a evitare il panic selling. Ovvero l'ondata irrazionale di vendite da parte degli operatori istituzionali che tenderanno a ridurre il peso dei Bot e dei Btp nei loro portafogli. L'ultima frontiera dell'euro è lì, a Francoforte e non a Bruxelles. Nella capitale dell'Unione Europea si registra ancora una tale distanza tra i partner che, ogni tentativo di trovare una linea comune, è puntualmente naufragato. Tutti divisi, il rigore tedesco da una parte, gli altri paesi soprattutto quelli del Sud Europa, in affanno nell'inseguire un modello di virtù fiscale irraggiungibile con i tempi dettati da Berlino. Il grande scoglio della politica Ue non è nei contenuti quanto nella tabella di marcia per il rispetto degli impegni. Troppo rapidi. Così si è arrivati a stamattina. Una giornata che può diventare quella dell'inizio del crac dell'euro, oppure che può filare via liscia senza troppi affanni nelle sale operative. Monti e il suo governo, così come la Banca d'Italia, guardano solo a Francoforte sicuri della ciambella di salvataggio di Draghi. Ma non sarà in ogni caso una giornata semplice. Le indicazioni e le strategie dei fondi, secondo quanto risulta a Il Tempo, sono costruite su due assi. Il primo è quello di ridurre subito le attività finanziarie denominate in euro: non solo titoli di debito sovrano dunque ma anche azioni, e asset finanziari. Il secondo atteggiamento tenuto sarà quella dell'osservazione attenta degli effetti che il downgrading avrà sull'economia reale. Su aziende e banche, in particolare. Entrambe avranno sicuramente più difficoltà a collocate le loro obbligazioni e a reperire fondi per le attività e saranno costrette ad aumentare i rendimenti per convincere gli investitori. Con un aggravio inevitabile sui bilanci. Molta cautela dunque subito e nel breve periodo. Poi le valutazioni si tramuteranno in decisioni operative. Intanto sul fronte italiano ieri non si sono registrate posizioni di rilievo. La linea di condotta è stata decisa nel summit tenuto a Palazzo Chigi tra Monti, il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, il viceministro dell'Economia, Vittorio Grilli e il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco. La scelta è stata sicuramente quella di non commentare, di evitare di concedere ogni vantaggio alla speculazione, scoprendo le carte prima del suono della campanella dei mercati. Si attende. E intanto, sempre ieri, a motivare il governo Monti, è arrivata la carica della cancelliera, Angela Merkel. Che dopo il taglio di Standard&Poor's, ha riportato l'Italia, almeno per un giorno, in «serie A». Da un lato il primo ministro tedesco ha accostato l'Italia alla Spagna, il cui merito creditizio non è sceso in «serie B», dall'altro ha separato nettamente Roma da Atene, vista come la maggior preoccupazione del momento, da risolvere velocemente se si vuol cercare di mettere la parola fine alla crisi del debito europeo. Mentre il suo omologo Nicolas Sarkozy ha scelto di rivolgersi ai francesi, chiedendo «volontà collettiva e coraggio di riformare il Paese», Merkel si è rivolta ai mercati: gli investitori, ha spiegato in un'intervista ad una radio, riconosceranno le riforme adottate da Italia e Spagna. E le misure prese sul fronte della riduzione del debito dai due Governi «convinceranno i mercati nel medio termine». Un salvagente non di poco conto alla vigilia del primo giorno di contrattazioni dopo che la scure di S&P si è abbattuta sul Vecchio Continente, salvando fra i big proprio solo la Germania. Che rischia però in ogni caso di dovere allargare i cordoni della borsa per finanziare il fondo Salva Stati. Il fondo attualmente in vigore, l'Efsf, è dotato di 440 miliardi di euro, di cui, dopo i salvataggi di Portogallo e Irlanda, restano disponibili circa 250 miliardi. Lo strumento però si finanzia sul mercato con l'emissione di titoli che hanno in dote la tripla A degli stati finanziatori. Così ora, dopo la perdita della tripla A da parte della Francia e dell'Austria, anche il fondo rischia di perdere il massimo voto sulle sue emissioni. E a coprire i buchi potrebbe essere chiamato proprio Berlino.

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