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Gran polemista di lotta e di salotto

Giorgio Bocca

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Fu un grande giornalista, su questo non ci piove. Dotato di una grinta e di un talento che nessuno, nemmeno fra i suoi nemici, ha mai preteso di contestare. Ma proprio per questo non si capisce per quale oscura ragione i suoi più eminenti ammiratori sono sembrati finora decisi a non riconoscere, insieme alla grandezza delle sue manifeste qualità, quasi tutte riconducibili all'inoppugnabile efficacia delle sue narrazioni di cose italiane, anche quella dei suoi notissimi abbagli, dovuti in larga misura alle sue smodate ambizioni di polemista. Dai suoi più famosi svarioni sembrerebbe fra l'altro di poter dedurre che non fu affatto così coerente come ieri si è detto da molti suoi fan, compreso il nostro saggio e sobrio Presidente. Ma che a ben vedere, benché i loro contenuti, corrispondendo di volta in volta a umori politici spesso diversi e talvolta persino contrastanti, sembrino comprovare una cerca volubilità, espressero invece sempre, con commovente coerenza, una stessa insopprimibile passione: quella per l'arte della sparata. Fu una coerenza così rigorosa, la sua, che per verificare l'essenziale continuità ideale del suo, diciamo così, magistero giornalistico, basta prelevare una qualsiasi delle sue sparate più recenti, accostarla a una delle più antiche e cercare di scoprire che cosa hanno in comune sottoponendole a un elementare confronto. In uno dei suoi botti più recenti (lanciato dal fortino dell'Espresso) Bocca si dichiarò solidale col terrorismo islamista, che lui paragonò alla nostra Resistenza, e del quale scrisse di condividere l'obbiettivo, che ovviamente sarebbe quello di spezzare le reni all'America. In uno dei più antichi (scagliato dal fortino di un giornaletto fascista del cuneese, La provincia granda, nel febbraio del 1942), sulla base di una dotta analisi dei Protocolli di Sion, dissertò gagliardamente sulla necessità di aiutare il camerata Hitler a spezzare le reni all'America per impedire agli ebrei di conquistare il dominio del mondo. Ecco il passo dell'antico Bocca antisemita: «Questo odio degli ebrei contro il fascismo è la causa prima della guerra attuale. La vittoria degli avversari solo in apparenza, infatti, sarebbe una vittoria degli anglosassoni e della Russia. In realtà sarebbe una vittoria degli ebrei. A quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l'idea di dovere, in un tempo non lontano, essere schiavi degli ebrei?» Ed ecco quello del recente Bocca filoterrorista: «Osama Bin Laden, e il suo rappresentante in Iraq Al Zarkawi, i loro tagliatori di teste, i loro torturatori, non corrispondono ai nostri modi di pensare e di praticare la Resistenza, ma, piaccia o non piaccia, sono la Resistenza come è possibile praticarla in quello che chiamiamo il Risorgimento islamico». Dalle date relative a queste due diverse sparate si evince che quella gagliardamente fascista fu scritta da un pensoso giovanotto di 22 anni mentre quella intrepidamente filo-islamista fu il parto di un vispo vecchietto di ottantaquattro anni. Questo avrebbe potuto anche indurci a considerare l'una un perdonabile indizio di acerbità fanciullesca e l'altra un simpatico segno di grintosità senile. É tuttavia evidente che il grande ideale racchiuso in entrambe - spezzare le Reni all'America - era proprio ciò che permetteva all'eterno partigiano Bocca di imporre alla sua vita la figura di un grande anello uno e trino ricongiungendosi da un lato al camerata che era stato da giovanotto e dall'altro al terrorista che avrebbe voluto essere oggi. Del resto una profonda simpatia per terroristi non solo esotici ma anche indigeni la manifestò anche negli anni di piombo, quando giunse a decretare l'inesistenza delle Br. «A me - scrisse in quel memorabile articolo - queste Brigate Rosse fanno un curioso effetto di favola per bambini scemi o insonnoliti e quando i magistrati, gli ufficiali dei carabinieri e i prefetti ricominciano a narrarla mi viene come un'ondata di tenerezza perché la favola è vecchia, sgangherata, puerile ma viene raccontata con tanta buona volontà che proprio non si sa come contraddirla». Candore a prova di bomba o complicità involontaria? Lasciamo perdere. Non si ceda, tuttavia, alla facile tentazione di considerare quest'uomo un quasi eroico fan di tutti i fascismi neri e rossi di ieri e di oggi, compresi quelli in salsa maomettana. Giacché egli, nel bene e nel male, fu soprattutto un Rodomonte del giornalismo, condannato dalla sua natura a prodursi per tutta la vita ogni giorno su qualche scena di lotta e salotto.

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