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Contributo e patto col Fisco Ecco come si riduce il debito

Il premier Monti e il ministro Fornero (S)

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Diciamolo subito e con chiarezza. Questo governo va difeso ed aiutato e la manovra va approvata. Ma non basta. La manovra che ci è stata illustrata in una conferenza stampa un po' confusa e un po' reticente nei numeri (era per tutti la prima volta) presenta luci e ombre. Le luci sono un po' fioche, le ombre sono un po' lunghe. Tra le luci c'è il completamento del riordino del sistema previdenziale con la elevazione dell'età pensionabile, l'eliminazione delle pensioni di anzianità e il metodo contributivo per tutti in un Paese che grazie a Dio vive molto più a lungo di 30 anni fa. Ma di questo parleremo più diffusamente un'altra volta anche perché la giusta normativa proposta forse metterà in discussione l'assicurazione previdenziale obbligatoria. Tra le luci vi sono anche alcune misure a favore delle imprese quali le agevolazioni fiscali per la ricapitalizzazione delle aziende, la deducibilità parziale dell'Irap e la possibilità di espungere dal calcolo dell'Irap le assunzioni di donne e giovani, l'aumento del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. Queste misure, ancorché accompagnate da altre come le liberalizzazioni in alcuni comparti aprendo così alla concorrenza alcuni settori, non sono assolutamente sufficienti a mettere in piedi una manovra anticiclica per ridurre il rischio di recessione e spingere in alto una crescita economica che da 15 anni manca nel nostro Paese. Ed è qui che si stagliano le ombre lunghe della manovra Monti.   I due obiettivi che Monti si era dato, infatti, e cioè spingere la crescita e risanare i conti pubblici, non verranno raggiunti. È stato lo stesso vice ministro Vittorio Grilli a dirlo con una sostanziale chiarezza. Nel prossimo anno l'economia italiana si contrarrà dello 0,4-0,5% e nel 2013 ci sarà la stagnazione. Monti e Grilli sanno, però, che non sono questi i dati. La recessione nel 2012 sarà molto più forte (il Pil si ridurrà del 2,5-3,5%) e continuerà nel 2013, anche se in maniera più soft. Insomma ci attende un biennio non solo privo di crescita ma di forte recessione con quel che ne consegue sul terreno dell'occupazione e dei redditi. Ma non è tutto. Le ombre si stagliano anche sul risanamento dei conti pubblici perché con la recessione che ridurrà il gettito tributario si allontanerà quel mitico pareggio di bilancio che poi tanto mitico non è. Sul terreno della finanza pubblica l'errore vero è quello di non aver voluto aggredire il debito pubblico pensando ancora una volta che si potesse svuotare il mare del debito accumulato con il secchiello della lotta al deficit annuale rincorrendo il famoso pareggio di bilancio. La verità è l'esatto contrario. Se si riduce il debito di 10-15 punti di Pil a beneficiarne sarà subito il deficit annuale perché risparmieremmo almeno 5-6 miliardi di spesa per interessi nel mentre le misure strutturali varate da Monti farebbero il resto. Noi non siamo adusi a criticare senza offrire proposte alternative e poiché riteniamo che il cuore del problema per il risanamento e per la stessa crescita sia la riduzione del debito cumulato riteniamo di misurarci con questo obiettivo chiedendo al governo e al Parlamento di fare altrettanto. Il provvedimento cui pensiamo dopo attenta riflessione che ci ha portato ad escludere in prima battuta la patrimoniale che ha un effetto recessivo come ogni prelievo forzoso (la stessa tassa per l'Europa del governo Prodi portò una flessione di una crescita già di per sé striminzita) è «un contributo volontario premiato». Tale contributo volontario dovrebbe collocarsi tra 30 mila euro e 3 milioni a secondo del reddito se si tratta di persone fisiche o del fatturato se si tratta di persone giuridiche. Tale contributo dovrebbe essere versato in due rate annuali, la prima delle quali dopo 3 mesi dall'adozione del provvedimento. Il premio annesso a questo contributo volontario è un concordato preventivo con i contribuenti che dovessero aderire all'invito del governo e cioè una esenzione da accertamenti fiscali da parte dell'agenzia delle entrate per il prossimo triennio a condizione che il loro reddito e i loro ricavi ed utili aumentino almeno del 2% in ragione d'anno. Non è un condono, come si può notare, e va accompagnato con una comunicazione convincente rivolta innanzitutto ai ricchi ed ai benestanti che mai come in quest'occasione difendendo il Paese difenderebbero se stessi. Nel contempo questo concordato preventivo consentirebbe all'agenzia delle entrate di concentrarsi sui grandi e piccoli evasori, annuncio che agevolerebbe l'adesione al contributo volontario. Infine, non vi è dubbio che il messaggio subliminale di questo provvedimento sia il seguente: se dovesse fallire il contributo volontario scatterà una patrimoniale sulle grandi ricchezze (ricordiamo che il 10% degli italiani ha il 45% della ricchezza nazionale valutata tra 4-5 mila miliardi di euro). Il gettito presunto secondo i nostri calcoli deriverebbe da un tasso di adesione del 45% dei contribuenti sui quattro milioni e mezzo di società di capitali, di società di persone, di titolari di imprese individuali e di liberi professionisti.   Questo tasso di adesione deriva dalla storia fiscale degli ultimi decenni. Considerando allora un contributo medio di 60 mila euro per 2 milioni di contribuenti desiderosi di una pace fiscale avremmo un gettito minimo di 120 miliardi di euro senza alcun impatto recessivo (gli atti volontari non lo sono mai e chi vi aderirebbe avrebbe anche il sollievo di tre anni senza accertamenti). Le critiche secondo le quali questo provvedimento sarebbe un condono mascherato sono facilmente contrastabili visto che il concordato preventivo è un istituto già introdotto nel nostro ordinamento e non è stato mai confuso con il condono. D'altro canto la negoziazione con il contribuente da parte dell'agenzia delle entrate già oggi è consentita dalla legge. L'altro elemento positivo di questo provvedimento è che tale contributo non interverrebbe a deprimere la domanda interna e farebbe risparmiare tra 5 e 6 mila miliardi di euro l'anno di spesa per interessi. Se dopo il primo versamento i risultati dovessero essere al di sotto delle aspettative, sarà inevitabile una patrimoniale non selvaggia ma nemmeno soft. L'altro provvedimento privo di effetti recessivi e che dà rapidamente un gettito importante è lo spin-off degli immobili strumentali dello Stato, quelli cioè utilizzati dalle amministrazioni centrali dello Stato. Provvedimento, quest'ultimo, ampiamente usato dalle grandi aziende pubbliche nazionali ed internazionali quando vogliono svilupparsi senza indebitarsi ulteriormente. Lo sa benissimo il ministro Corrado Passera che ha fatto, da amministratore delegato di Banca Intesa, lo spin-off del patrimonio immobiliare strumentale vendendolo alla Fimit di Massimo Caputi. L'ipotesi è di vendere cento palazzi da 100 mila mq utilizzati dalle amministrazioni pubbliche centrali conferendoli in un fondo immobiliare chiuso che colloca quote con un rendimento del 5%-6%. Conferendo 10 milioni di mq con un valore tra 3000 e 3500 mila euro per mq avremmo un ricavo tra 30 e 35 miliardi di euro utilizzabili tutti per uno start-up dell'economia italiana avendo ridotto, con l'altro strumento, il debito accumulato. Per evitare aggravi di bilancio l'onere della locazione degli immobili venduti per il primo triennio verrebbero collocati sul ricavo della vendita senza quindi aggravare i saldi del bilancio dello Stato che, dopo la ripresa della crescita, sarebbero confortati da un maggiore gettito tributario. La manovra governativa sembra, invece, che abbia messo in moto un meccanismo farraginoso mettendo dentro fondi chiusi ogni immobile pubblico, anche quelli da valorizzare e quelli degli enti locali con un allungamento dei tempi rispetto alla nostra ipotesi. Vedremo la norma ma un provvedimento come quello descritto da noi ha il pregio della rapidità, offre una garanzia anche ai risparmiatori perché dietro ogni quota c'è una parte di patrimonio locato allo Stato e non esclude, naturalmente, la vendita di altri beni immobili non strumentali dello Stato e degli enti locali che richiedono più tempo e in molti casi procedure di valorizzazione. La mancanza di risorse che solo un rapido spin-off immobiliare può dare, impedisce al ministro dello sviluppo Corrado Passera di mettere in piedi una manovra anticiclica importante capace di contrastare il ciclo economico internazionale e gli effetti depressivi dei 18 miliardi di nuove tasse concentrate quasi tutte sulle famiglie e spesso su quelle più deboli. Noi non riteniamo di avere la verità in tasca, naturalmente, e quindi la nostra ipotesi di un concordato preventivo con contributo volontario per raccogliere oltre 100 miliardi può darsi che sia o una sciocchezza o impraticabile. Chi la dovesse ritenere tale ha il dovere, però, di dirci come possiamo fare per abbattere nei prossimi tre mesi una quota del debito accumulato senza la quale riduzione non raggiungeremmo i due obiettivi per i quali questo governo è nato, il risanamento dei conti pubblici e la ripresa della crescita economica. Un'ultima considerazione sul terreno della più volte richiamata equità. Togliere l'adeguamento all'inflazione a chi guadagna 35 euro al giorno (oltre i 936 euro al mese) significa togliere a quelle famiglie un piatto da tavola. Il pianto sincero del ministro Fornero testimonia la gravità della norma. Se ai capitali scudati invece di chiedere soltanto un contributo di 1,5% avendo pagato solo il 5% nel momento del rientro si chiedesse un altro 5% (arriverebbero così a pagare il 10% sui capitali esportati invece di pagare il 40% e oltre di tasse se fossero rimasti in Italia) noi rimetteremmo quel piatto in tavola a famiglie che hanno difficoltà senza peraltro cambiare la vita ai possessori dei capitali esportati. È questa l'equità della politica non altro e di queste anomalie il testo ne sembra pieno. Detto questo e confermando che questo governo deve andare avanti, sarà la politica, ed innanzitutto i tre gruppi parlamentari che appoggiano di fatto il governo Monti, il Pd, l'Udc e il Pdl, a ricercare quel minimo comune denominatore che può consentire di integrare e migliorare la proposta Monti sul terreno della crescita, della riduzione del debito e su quell'equità vera e profonda. Sarà poi il consiglio europeo del 9 dicembre prossimo a dover dare una sferzata ai mercati per ripristinare quel clima di fiducia e di sostenibilità dell'euro e dell'economia dell'eurozona che c'era prima della crisi finanziaria innescata dai mutui sub-prime americani e diffusasi nel mondo con un effetto domino impressionante. La strada è lunga e accidentata e senza la mano della politica gli obiettivi prefissati non saranno mai raggiunti.

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