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Tonino e Umberto fanno i furbi

Antonio Di Pietro

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C'era una volta la politica. Adesso sono in molti a pensare che l'eventuale nomina di Monti a guidare l'esecutivo rappresenti la sua Caporetto. Annientata non da cannoni e mortai, ma da spread e rating. Colpi mortali che hanno fatto saltare le trincee tanto che non ci stupiremmo nel vedere Berlusconi e Bersani costretti a marciare mano nella mano dopo aver gettato in mare anni di veleni. Si cambia pagina, lo chiede l'Italia, lo reclamano i mercati assetati di sangue che, forse, davanti alla idilliaca scenetta dei due nemici ora compgni di viaggio molleranno la presa mortale. Ma i furbetti della politica quelli no, resistono alle tempeste. Sono come la gramigna. A loro mercati, borse, spread, titoli di Stato, banche e banchieri, Europa, euro e politiche comunitarie non li scalfiscono. L'orticello prima di tutto. Così Di Pietro e Bossi un pensierino l'avevano sicuramente fatto: mentre i grandi dovranno fare i conti con la nuova tempesta, dagli esiti politici incerti, meglio avere le mani libere. L'occasione è ghiotta: i due grandi partiti costretti a sostenere in Parlamento i provvedimenti di un governo tecnico e loro liberi di scorazzare e soprattutto di raccogliere e immagazzinare tutti gli elettori scontenti di Pd e Pdl. Perchè è naturale che ci saranno. A Di Pietro e Bossi farebbe comodo in chiave elettorale restare fuori dalla grande coalizione. Infatti il loro no è arrivato subito. Un no che sembrava irremovibile. Un rifiuto che ne avrebbe fatto i furbetti della politica. Fuori a sistemare le proprie cose, Bossi sulle barricate con la spada di Alberto da Giussano a difendere le pensioni, le province, il Nord. A insultare Roma ladrona e a rivendicare più che l'autonomia del Nord, la sua secessione. Se sia solo parolaria poco importa. E i calcoli di Di Pietro non erano molto dissimili. In fondo avere le mani libere lo avrebbe portato ad essere l'unico oppositore a sinistra di misure impopolari del governo tecnico con un Pd ingabbiato. Una spina nel fianco che Bersani non poteva accettare. Troppo furbetto Di Pietro anche per i suoi elettori che lo hanno tempestato di messaggi denunciando una demagogia che non tiene conto del Paese. E Di Pietro ha fatto marcia indietro. Gradualmente, in modo non lineare. Non si farà incastrare, non accetterà a scatola chiusa tutte le decisioni del governo, ma non ci sarà un no pregiudiziale. Non lascerà solo Bersani e in parte Vendola. Non manderà in frantumi quel quadro di Vasto che ha fatto gridare alla rinascita del vecchio Ulivo. Così il pressing ha avuto i suoi effetti. Bossi invece il pressing lo ha fatto lui. Dopo aver fatto balenare la scelta dell'opposizione ha iniziato a lavorare ai fianchi Berlusconi. Il no a Monti è stata la bandiera che ha spinto la parte del Pdl ostile a un governo tecnico ad alzare la voce. E Bossi non ha fatto marcia indietro. Lui a differenza di Di Pietro non voterà in nessun caso un governo del presidente. In fondo l'idea di una bella opposizione piace a una parte del Carroccio costretta a ingoiare spesso bocconi amari, accettare scelte non gradite. Mani libere potrebbe portare a raccogliere parte dello scontento presente al Nord. Ma nelle ultime ore Bossi ha dato una direttrice chiara alla sua strategia. L'opposizione ora rappresenta solo l'ultima carta, l'opzione se le trattative falliranno. Bossi insiste, lui non vuole che a decidere sia l'Europa, siano i mercati. Non vuole che a Palazzo Chigi ci vada chi non è stato eletto. Non vuole che l'asse politico, senza un passaggio elettorale, si sposti a sinistra. Parole non sgradite a Berlusconi e soprattutto a quella parte del Pdl che non vuole rinunciare ad essere protagonista pur in presenza di un passo indietro del premier. Perché Monti? Perchè non un uomo scelto dalla coalizione che ha vinto le elezioni. E se non c'è maggioranza perché non votare. Così Bossì, dopo aver detto i suoi no nelle riunioni a Palazzo Grazioli dei giorni scorsi, non si è ritirato sull'Aventino. Ha riunito i suoi ed è tornato alla carica presentandosi alle riunioni della coalizione con le sue proposte: via libera ad Alfano oppure a Lamberto Dini. Insomma se Berlusconi darà le dimissioni indichi dei nomi. Sia protagonista. La pressione è forte tanto da far vacillare una scelta che sembrava ormai cosa fatta. Solo tattica? Questo lo si vedrà nelle prossime ore. Servirà ad alzare la posta, oppure a spianare la strada verso il voto perché è chiaro che la scelta di Dini e tanto più di Alfano non troveranno consensi nell'opposizione e in particolare nell'Udc. Questo lo sa bene Berlusconi. E sicuramente anche Bossi, che comunque insiste. La scelta furba così passa in secondo piano. Per ora. La storia del leader del Carroccio è fatta di colpi di scena. Prima alleato di Berlusconi, poi protagonista del ribaltone, infine fedelissimo del Cavaliere. Le polemiche degli ultimi mesi sono state sempre un fuoco di paglia. Qualche parola in libertà soprattutto per infiammare una piazza e poi l'immancabile abbraccio. Una lealtà ricambiata, Berlusconi si à ben guardato dal procedere sulle pensioni per non dispiacere alla Lega. E l'asse, pur quando le strade sembravano destinate a divergere, ha retto. Il Carroccio è presente e attivo nelle riunioni che si svolgono a Palazzo Grazioli. Un attivismo che ha riaperto una discussione che sembrava chiusa. Non c'è più sul tappeto solo la questione di far rientrare il dissenso di chi non vuole passare la mano a un esecutivo pilotato dai poteri forti. Si esaminano altre ipotesi. Solo un fuoco di sbarramento per avere condizioni migliori? Oppure un braccio di ferro per arrivare alle elezioni? Comunque sia la Lega, per il momento, è nella partita. Così i due discoli della politica italiana, Bossi e Di Pietro che sembravano destinati a fare a destra e a sinistra i furbetti raccoglitori di consensi, sono tornati in gioco. Per restarci? Questo saranno i prossimi due giorni a dirlo. Comunque fino adesso sono riusciti a creare qualche ansia negli alleati. Perchè non c'è dubbio che le uscite pubbliche dei due hanno toccato il cuore degli elettori dei due schieramenti. Da una parte è difficile digerire la presenza del Pd nell'area di governo. Dall'altra l'Italia dei Valori sa che a sinistra l'idea di collaborare con Berlusconi può creare non poche avversità, non a caso il segretrio della Cgil Camusso ha detto: meglio andare al voto. E Di Pietro con questa area del dissenso vuole mantenere un filo diretto pur cercando di non rompere con Bersani. Insomma i due leader sono come due equilibristi sulla corda, forse consapevoli, se alla fine Monti dovesse farcela, di dover recuperare il controverso motto di Berlinguer: partiti di lotta e di governo. Mani libere nelle piazze senza rompere con gli alleati. Al Pci la strategia non portò tanto bene. A volte, per fortuna, la politica e gli elettori non premiano i troppo furbi.

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