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Silvio toglie voti al centrosinistra

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Il premier Silvio Berlusconi

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«Se io non ho i numeri alla Camera, nessun altro li avrà». Silvio Berlusconi resta asserragliato a Palazzo Grazioli. Chiama gli scontenti. E lavora per costruirsi una maggioranza alternativa. Sui provvedimenti. Insomma, in due parole: non molla. E a metà pomeriggio lo mette anche per iscritto in una nota su carta intestata della presidenza del Consiglio che non lascia spazio alle interpretazioni: «Girano nei palazzi romani chiacchiere e pettegolezzi su un argomento: le dimissioni di questo governo. Mi spiace di deludere i nostalgici della Prima Repubblica quando i governi duravano in media 11 mesi, ma la responsabilità nei confronti degli elettori e del Paese impongono a noi e al nostro governo di continuare nella battaglia di civiltà che stiamo conducendo in questo difficile momento di crisi». Va avanti, non molla. Anzi, partecipando telefonicamente a una manifestazione del Pdl a Lecco organizzata dalla Brambilla, afferma: «State tranquilli, non ho proprio nessuna intenzione di fare passi indietro. La maggioranza c'è». Una certezza che non è suffragata neppure da Denis Verdini. Il centrodestra potrebbe non raggiungere quota 316 (la metà più uno dei deputati) ma il nodo a questo punto è un altro: l'opposizione non ha un voto in più della maggioranza. La settimana prossima si vota sul rendiconto dello Stato. Il Colle, si sa, non vuole problemi. Difficile che l'opposizione alzi le barricate. Probabile che i malpancisti del Pdl e persino qualcuno dei recentemente fuoriusciti non voti contro. Il problema si pone sui provvedimenti successivi. A cominciare dal maxiemendamento alla legge di stabilità che dovrebbe dare le prime risposte a Ue e Fmi. Berlusconi è intenzionato a mettere la fiducia al Senato, dove non ci sono problemi. In modo da incassare i numeri e dimostrare che almeno a Palazzo Madama non si può fare un altro governo. Alla Camera si apre un'altra partita. Senza fiducia e concordando una parte degli interventi si può ottenere l'accordo dei sei Radicali (e comunque sono sei voti in meno per l'opposizione). Lo dice con un linguaggio incomprensibile un inconsueto Angelino Alfano quando afferma che Berlusconi è impegnato in «una riflessione da fare nei prossimi giorni sulla condotta politica da scegliere per favorire il più vasto concorso possibile di forze politiche e sociali» allo scopo di dare risposta alla situazione attuale. Tradotto: si sta cercando un'altra maggioranza. Anzitutto si rivolge ai suoi che vorrebbero mollarlo. Due giorni fa ha sentito Isabella Bertolini, anche ieri l'ha richiamata. Roberto Antonione sembra difficile da recuperare, Giorgio Stracquadanio è dato per rientrato. «Tutti vogliono andare via perché Berlusconi non ha fatto delle cose, ma se le fa...», spiega il sottosegretario Guido Crosetto. Anche Alessio Bonciani, da poco passato all'Udc, non sarebbe intenzionato a votare la sfiducia. I vertici del Pdl sono tutti convinti che i numeri ci siano. L'agenda pure, è quella concordata con gli organismi internazionali. Meglio mettere la sinistra con le spalle al muro e farla votare contro le richieste della Bce: così, ragionano a via dell'Umiltà, sarà più facile dimostrare che non è adatta a governare. Si utilizzano tutti gli strumenti per convincere i riottosi. Dice un fedelissimo del premier: «Leggetevi bene l'articolo 88 della Costituzione: "Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse". Una sola di esse, appunto. Al Senato i numeri sono chiari. Se mancano alla Camera si scioglie solo quella». Dunque, nessun passo indietro. Non che Berlusconi non l'abbia esaminato. Soprattutto per favorire un ritorno di Casini e Fini, o almeno soltanto del primo. «Ma ci possiamo fidare?», insiste il Cavaliere con i suoi. E aggiunge: «Vogliono davvero ritornare nel centrodestra o stanno cercando di sfasciarlo, di capitalizzare l'opposizione in un momento in cui stare al governo non paga?». L'unica cosa certa è il voto più vicino.

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