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Il governo d'emergenza e i soliti sciacalli

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Tempestivi come gli sciacalli, gli avversari di Silvio Berlusconi sono balzati sui mercati, scossi anche dal caos politico esploso in una Grecia sull'orlo dell'insolvenza, per reclamare a voce ancora più alta, e petulante, del solito le dimissioni del presidente del Consiglio, e quindi la crisi di governo. Il vice segretario del Pd Enrico Letta, che pure non era classificabile sino a ieri tra i più scatenati da quelle parti, è arrivato a sostenere che si debba annunciare già domani al summit mondiale in programma a Cannes l'arrivo di un "governo di emergenza" in Italia. Al quale si è autorizzati a pensare che si riferisse pertanto il segretario del Pd Pier Luigi Bersani annunciando per telefono al presidente della Repubblica che "siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità", anche se al Quirinale si spera che si tratti di una disponibilità valida pure in altra direzione: per esempio, a favore delle nuove misure che si accinge a varare o precisare meglio il governo in carica. Sarebbe una svolta, per quanto improbabile, nello spettacolo a lungo offerto ad un angosciato Giorgio Napolitano dalle opposizioni, unite solo nel pretendere il ritiro di Berlusconi dalla scena, ma divise su tutto il resto, a cominciare dal programma di un nuovo governo. Che deve essere fatto di contenuti, e non solo di titoli, o di slogan e propositi generici, come la richiesta che ripete Bersani di "far pagare di più chi più ha", o di "far bagnare i piedi a chi è riuscito a tenerseli sinora asciutti". Sono formulette, queste, che possono arricchire il repertorio del simpatico Maurizio Crozza, un imitatore che è decisamente più simpatico e felice dell'originale, ma non possono essere scambiate per il programma, appunto, di un governo, comunque lo si voglia chiamare: di emergenza, di responsabilità nazionale, di tregua e persino del Presidente, inteso come Presidente della Repubblica, con tutte le maiuscole al loro posto, cioè ideato, voluto, garantito, quasi imposto dal capo dello Stato ad un Parlamento riluttante. Quest'ultimo tipo di governo, per quanti precedenti si possano o si vogliano invocare, a proposito o a sproposito, non è contemplato dalla Costituzione. Che nell'articolo 92 assegna al capo dello Stato il compito di nominare il presidente del Consiglio, per quanto già designato ora dagli elettori, e su sua proposta i ministri, perché il governo possa chiedere e ottenere la fiducia -articolo 94- da un Parlamento ovviamente libero, non obbligato da nessuno, neppure dalla massima autorità della Repubblica. Sembra incredibile che debbano essere ricordate queste cose, diciamo così, elementari a gente che nella Costituzione si avvolge retoricamente dalla mattina alla sera come in una bandiera, reclamandone il rispetto e declamandone la impareggiabile "bellezza", da miss Mondo, come suole dire il segretario del Pd. Sempre lui. Se proprio volessero introdurre innovazioni senza bisogno di modificare la Costituzione, e continuare a combattere a testa bassa il Cavaliere, tornando a deludere il Quirinale, le opposizioni potrebbero cominciare a farlo presentando contro il governo una mozione di sfiducia ben motivata, che in Germania si chiama "costruttiva", che non si limiti a tentare l'abbattimento di un governo ma ne indichi uno alternativo nella composizione e nel programma. Ma questa è una cosa che gli avversari di Berlusconi non sono in grado di fare, per quanto la situazione economica sia critica e imponga il massimo dell'urgenza e della chiarezza nell'obbligo di affrontarla. E deriva proprio da questa incapacità delle opposizioni di prevalere in Parlamento con i numeri e con un programma la tenuta dell'attuale governo, per quanto esso sia indubbiamente indebolito nei numeri della maggioranza, ed anche nella sua capacità operativa, rispetto alla partenza del 2008. Qui, a Il Tempo diretto da Mario Sechi, non abbiamo certamente avuto difficoltà ad ammettere- ma abbiamo addirittura lamentato tra i primi, se non per primi, e a lungo anche unici nel perimetro della stampa non catalogabile a sinistra, specie ora che la sinistra è così mal rappresentata- i ritardi e le contraddizioni di questo governo sulla strada delle riforme cosiddette strutturali e del conseguente allineamento al passo dell'Europa. Lo abbiamo lamentato commentando, fra l'altro, le manovre finanziarie di luglio e di agosto, ed anche la cosiddetta lettera d'impegni all'ultimo vertice europeo. Che ha troppo risentito, per esempio, del veto imposto sul tema cruciale delle scandalose e costose pensioni anticipate di anzianità dalla Lega di Umberto Bossi. La cui azione il nostro Marlowe ha acutamente paragonato, a questo proposito, a quella svolta a suo tempo da Fausto Bertinotti nei riguardi di Romano Prodi, affondandolo due volte in dieci anni. E a quella che Nichi Vendola svolgerebbe, magari direttamente da Palazzo Chigi, su una nuova coalizione ulivista se questa dovesse vincere le prossime elezioni. Ma, per quanto lacunosi, gli impegni del governo di Berlusconi, in via peraltro di rafforzamento proprio in queste ore su sollecitazione anche del vigile presidente della Repubblica, sono apparsi all'Unione Europea, ed anche per questo accettati, decisamente migliori di quelli -inconsistenti- delle opposizioni smaniose di una crisi e di un nuovo governo. Non a caso, del resto, Casini non ha voluto neppure tentare di concordare con le altre opposizioni quella specie di contro-lettera d'impegni all'Ue proposta l'altroieri dall'immaginifico Di Pietro.  

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