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Euro, la "strana moneta" che non costruisce l'Europa

Euro

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Il presidente del Consiglio ha una caratteristica tutta sua. Riesce spesso a dire cose giuste nei tempi e nei modi sbagliati. È il suo limite ma anche la sua forza dal momento che le sue uscite "politicamente poco corrette" si rivelano quasi sempre in sintonia con la "pancia" della maggior parte (o, comunque, di una parte molto consistente) degli italiani. Sono voci "dal sen fuggite" che, piaccia o non piaccia, molti cittadini comuni sottoscriverebbero, magari non a voce alta ma con un borbottio di fondo. Il passaggio che Berlusconi ha dedicato all'euro nei giorni scorsi - un passaggio che ha suscitato, al solito, reazioni scandalizzate e provocato la necessità di una precisazione subito polemicamente riportata al rango di una smentita - rientra proprio in questa categoria. Ad analizzarlo, nel dettaglio, quel passaggio non ha nulla di sconvolgente. Quando, infatti, il Cavaliere ha affermato che «l'euro è una moneta strana» e che è, di per sé, più attaccabile di altre dalla speculazione internazionale «non disponendo né di un governo unitario né di una banca di riferimento» non ha fatto altro che fotografare uno stato di fatto. L'euro ha, ormai, qualche anno sul groppone, tanto che c'è almeno una generazione di italiani la quale non ha neppure conosciuto la lira. Esso, come ben si ricorderà, debuttò sui mercati finanziari nel 1999, ma la sua circolazione monetaria ebbe inizio solo il 1° gennaio 2002. La cosiddetta Eurozona o Eurolandia non coincide con l'Unione Europea perché, a tutt'oggi, dieci dei ventisette Stati membri non hanno adottato l'euro come valuta ufficiale e, anzi, vi è anche chi, Danimarca e Gran Bretagna, gode di una deroga all'obbligo formale di aderire alla moneta comune. Inoltre vi sono altre realtà statuali che, pur non appartenenti all'Ue, hanno adottato l'euro unilateralmente o in virtù di accordi internazionali. Questa situazione, a ben riflettere, legittima - almeno in certa misura e naturalmente in una accezione più politica che economica - l'espressione berlusconiana secondo la quale l'euro sarebbe «una moneta strana che non ha convinto». Tale moneta, infatti, non si è rivelata un fattore di "costruzione identitaria" dell'Europa, come invece è accaduto e accade per le monete nazionali. Mi spiego. Chi usa la sterlina o il dollaro si sente, automaticamente, inglese o americano. Chi utilizzava la lira o la peseta o il franco francese si sentiva, ipso facto, italiano o spagnolo o francese. Chi, oggi, adopera l'euro non si riconosce, subito, come europeo, ma al più come appartenente a una zona dove circola quella data moneta. In altre parole, l'euro viene percepito soltanto come uno strumento utile per le transazioni economiche e finanziarie: quella "stranezza" dell'euro come moneta, denunciata da Berlusconi, sta tutta qui, nella mancanza di un "governo unitario" e di una "banca di riferimento" e quindi nella incapacità di essere o diventare un elemento capace di definire una "identità europea" o, se si preferisce, in grado di avviare un processo (potremmo dire parafrasando una celebre espressione del grande storico americano George L. Mosse) di «europeizzazione delle masse».   Il deficit di "capacità identitaria" della moneta unica europea è testimoniato, nel caso italiano (ma, ritengo, che lo stesso discorso valga più o meno per molti paesi dell'Eurozona), dalla convinzione - largamente diffusa e immediatamente percettibile a ogni livello - che l'introduzione dell'euro sia stata pagata un prezzo molto caro, troppo caro, quanto meno in termini di inflazione. Si ha un bel discettare di "inflazione percepita" e di "inflazione reale".   Rimane il fatto che il potere d'acquisto di uno stipendio normale si è addirittura dimezzato rispetto al periodo precedente, quando circolava la moneta nazionale. I sacerdoti della sacralità dell'euro possono dire quel che vogliono e possono argomentare come credono le loro tesi, ma è sufficiente scendere in strada e rivolgersi all'uomo qualunque, al cittadino comune che deve fare i conti con il proprio bilancio, per avere la conferma della convinzione, giusta o sbagliata che sia, dell'esistenza di una oggettiva "responsabilità" dell'introduzione dell'euro nelle difficoltà economiche che si trova a dover affrontare. Non solo. Si ha la percezione che i vantaggi ottenuti dall'aver preso in corsa il treno della moneta unica non siano stati pari alle attese in termini, per esempio, di armonizzazione delle politiche fiscali o di liberalizzazione dei movimenti di capitale e via dicendo. Insomma, per farla breve, non si è concretizzata una "passione dell'euro" come altra faccia di quella "passione dell'Europa" della quale l'Italia ha dato sempre prova. Si è sviluppata, al contrario, una "psicosi dell'euro" fondata sul timore che la "stabilità monetaria" possa venire messa in forse dalla oggettiva disparità delle economie nazionali e dalla prospettiva di un fallimento della moneta unica o dalla sua sostituzione con un euro forte e un euro debole. O, ancora, dal pericolo del risorgere di forti pulsioni di nazionalismo economico e di velleità egemoniche da parte della Germania e della Francia. La fiducia è la vera molla dell'economia e, al tempo stesso, è la garanzia della stabilità di un sistema economico. Quando entrano in gioco fattori che incrinano la fiducia nella moneta, il sistema entra in fibrillazione e si apre a scenari che potrebbero rivelarsi pericolosi. Quando Berlusconi ha parlato di un «attacco della speculazione» in qualche modo collegato al fatto che l'euro rappresenterebbe un "fenomeno mai visto" non ha detto nulla di strano o di eretico. Ha fotografato una situazione. La precisazione che egli ha dovuto fare - dopo la lettura distorta, maliziosa, polemica delle sue parole da parte delle sinistre di ogni sfumatura - ha chiarito, in maniera inequivocabile, il suo pensiero.   Berlusconi ha spiegato che l'attacco speculativo all'euro è dovuto al fatto che questa è «l'unica moneta al mondo senza un governo comune, senza uno Stato, senza una banca di ultima istanza». Ed ha aggiunto che «l'euro è la nostra moneta, la nostra bandiera» e che, proprio per la sua difesa, «l'Italia sta facendo pesanti sacrifici». Che le sue dichiarazioni sull'euro potessero essere fraintese, e presentate come un attacco alla moneta unica o addirittura alla stessa costruzione europea, era una eventualità da mettere nel conto in una situazione nella quale le sinistre di ogni sfumatura fanno a gara per leggere in controluce (in controluce negativa) ogni dichiarazione e ogni atto politico del Cavaliere. Da questo punto di vista sono stati, forse, sbagliati tempo e modo delle riflessioni berlusconiane sull'euro. Ma non la sostanza. Perché le questioni sollevate da Berlusconi non sono peregrine. Se si parte dall'idea che la moneta comune europea debba essere un "bene" destinato, per un verso, a migliorare il funzionamento del mercato comune e, per un altro verso, a rafforzare lo "spirito europeo", cioè l'orgoglio e l'identità dell'essere europei, allora è bene che si apra, davvero, una riflessione approfondita, anche in termini storici oltre che di prospettiva futura, sulla natura e sulle caratteristiche di Eurolandia e del suo rapporto con l'Europa. Eurolandia ed Europa sono due realtà diverse, tanto che, qualche tempo fa, un finissimo diplomatico, Alberto Indelicato, poté intitolare «Eurolandia contro l'Europa» un suo gustoso pamphlet. È bene non dimenticarlo, perché l'Eurolandia potrebbe anche andare in frantumi, Ma l'Europa, no.

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