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Bossi sbadiglia ma promuove il governo

Berlusconi chiede la fiducia alla Camera dei deputati, banchi dell'opposizione vuoti ad eccezione dei radicali (foto Pizzi)

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Dodici sbadigli in dodici minuti. Umberto Bossi non riusciva proprio a trattenere la noia. Le parole del premier, pronunciate per la prima volta in un'Aula semivuota dopo l'abbandono delle minoranze, dovevano avere un che di soporifero. Così il leader della Lega si è lasciato andare e, nonostante le carezze che gli arrivavano da Berlusconi, per ben dodici volte ha portato la mano alla bocca nel goffo tentativo di nascondere una stanchezza che, immancabilmente, i flash dei fotografi immortalavano. Eppure, ad ascoltare i commenti rilasciati appena uscito dall'Aula, sembra proprio che di quei venti minuti di discorso, il Senatùr non abbia perso una virgola. «Ha detto quello che doveva dire, quello che la gente voleva sentirsi dire» è stata la sua prima reazione. E, dopo essersi detto favorevolmente colpito dall'intervento del premier, è tornato a rassicurare l'alleato: «Domani sera (stasera, ndr) il governo ci sarà ancora». In altre parole, la Lega voterà la fiducia all'esecutivo. Una certezza che era già stata data in Aula durante gli interventi pronunciati da due pasionarie leghiste che, da una parte hanno assicurato la fedeltà del Carroccio al premier ma dall'altra gli hanno chiesto di ascoltare più i parlamentari e meno i burocrati. «La maggioranza ha i numeri per andare avanti - afferma la capogruppo alla Camera Carolina Lussana - ma bisogna procedere in attacco. Servono coraggio, riforme e sarà il meccanismo virtuoso del federalismo fiscale a ridurre il debito pubblico». Un invito esteso poco dopo anche da Manuela Dal Lago, presidente della commissione Attività produttive, che mette l'attenzione sul decreto sviluppo: «C'è bisogno di aiutare le nostre imprese a operare e lavorare, ma soprattutto - raccomanda - fin dal prossimo decreto sviluppo, cercare di capire che le piccole imprese sono completamente diverse dalle grandi imprese. In questo Paese dobbiamo smetterla di fare regole uguali per tutti nel momento in cui le situazioni, anche territoriali, sono diverse». E così, superate le «criticità», che fiducia sia. Eppure tra i leghisti si tornano a ricordare i punti programmatici elencati a Pontida lo scorso giugno. Un elenco di impegni chiesti al governo da raggiungere entro gennaio quando il Carroccio chiederà una verifica. Ma non nel senso classico del termine, piuttosto come bilancio delle riforme costituzionali. Secondo il timing ipotizzato dai Lùmbard, infatti, il ddl di riforma costituzionale targato Calderoli (che prevede la riduzione dei parlamentari, la fine del bicameralismo, la nascita del Senato federale, il rafforzamento dei poteri del premier) doveva già avere il via libera definitivo, con il doppio passaggio di entrambe le Camere, prima dell'estate. Ma, ad oggi, quel testo è stato assegnato alla commissione Affari costituzionali del Senato e non è ancora stato calendarizzato. E, di certo, gli "incidenti" del governo non aiutano ad accelerare il percorso delle riforme, su cui il Carroccio punta e che restano la conditio sine qua non per continuare a sostenere il governo. Una situazione che in ambienti leghisti non piace molto tanto che, se non ci sarà un'accelerazione sulle riforme entro dicembre, potrebbe esserci lo «strappo». Ma in realtà, sulla base degli ultimi mesi dell'esecutivo, risulta sempre più evidente, anche tra i cosiddetti maroniani, che la Lega non ha nessun interesse ad andare a votare a breve, quindi in primavera. Intanto, perché il consenso è calato e c'è malumore nella base; e poi, c'è anche chi fa notare che in questo modo, se si votasse nel 2012, resterebbe sempre Bossi a guidare il "timone" del Carroccio che per ora naviga in acque non del tutto calme. Invece, se si arrivasse alla fine della legislatura, ci sarebbe spazio per il successore del Senatùr. Nomina di un «delfino» su cui si sofferma Francesco Speroni, europarlamentare nordista: «Nella Lega decide tutto Bossi, inutile agitarsi. La successione se la contendono Calderoli e Maroni anche se la carica più importante nel partito ce l'ha Calderoli. E Renzo Bossi? «Per ora non ha la stoffa del leader e sarebbe un errore nominarlo».

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