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"Arriverà la ripresa e vinceremo nel 2013"

Giorgio Napolitano e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

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«E ora andiamo avanti. Arriveremo al 2013. Nel frattempo sarà arrivata la ripresa, sarà passato questo momento brutto e potremo riaprire la partita». È un Silvio Berlusconi su di giri quello che si presenta al Consiglio dei ministri subito dopo il voto della Camera che gli ha concesso una nuova fiducia. Risicata, ma pur sempre una fiducia. Quanto basta per vedere sconfitti ancora una volta Fini in primis, la sinistra, i poteri forti che avevano tramato contro di lui. Tutto fallito. Anche stavolta, come dieci mesi fa. Se la gode, Silvio. Ma soprattutto ai componenti del suo governo si mostra convinto, graniticamente sicuro che è arrivata una svolta. E mentre tutti immaginano che non si potrà vivacchiare a lungo e che tutto sommato il premier stia preparando le elezioni per la prossima primavera, il Cavaliere sorprende tutti. Al contrario. A tratti visionario.Sembra vedersi di nuovo in sella, forse anche di nuovo candidato premier. Nel frattempo è convinto che «la maggioranza si rafforzerà ancora». Come? Non lo dice. Non lo spiega. Non si sbilancia. Tanto che un ministro solitamente attento alle vicende parlamentari come Gianfranco Rotondi spiega: «Viviamo alla giornata. Non so come Berlusconi faccia ad essere così sicuro di andare avanti. O forse è chiaro, basta vedere che ha detto stasera (ieri sera, ndr) Gava!». E che ha detto il deputato malpancista? «No al voto nel 2012, voglio il vitalizio», ha candidamente ammesso il parlamentare veneto. Non è l'unico a pensarla così, casomai è l'unico a dirlo così candidamente. In realtà Berlusconi non si basa solo sul fatto che una bella fetta di deputati alle elezioni non ci vuole andare a votare perché in tanti, sia nel Pdl che nel Pd, rischiano di non tornare a Montecitorio. Ci sono un paio di deputati del Pdl che erano assenti per malattia ma dovrebbero ritornare, c'è Alfonso Papa che ancora recluso a Poggioreale ma per lui stanno scadendo i termini della custodia cautelare e dovrebbe tornare libero. Certo, vedere la luce sebbene la maggioranza sia appesa a un galeotto (momentaneo) è qualcosa che rasenta la follia. L'ottimismo berlusconiano poggia piuttosto su qualche piccolo segnale concreto. Come un'intesa messa a punto sotto traccia con i Radicali, che - non a caso - hanno rotto il fronte dell'opposizione facendo naufragare il blitz per far mancare il numero legale. Ora la maggioranza deve «restituire» il bel gesto. E molto probabilmente metterà all'ordine del giorno la discussione su un disegno di legge sull'amnistia a cui sta lavorando il ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, che infatti è stato il primo a stringere la mano al premier non appena è stato reso noto il risultato del voto nell'Aula di Montecitorio. E sono già sei deputati (e tre senatori) che potrebbero essere meno ostili. Forse al Senato, dove il presidente RenatoSchifani già quest'estate aveva voluto un convegno sul tema delle carceri fortemente voluto dai radicali guidati dal vicepresidente di palazzo Madama, Emma Bonino. Segno, anche questo, che Berlusconi ormai ci sa fare anche nei giochetti parlamentari. Non solo compravendita pura, bensì politica come un democristiano navigato. E lo dice chiaramente uscendo dalla Camera: «Ho la fiducia dopo aver sventato la figuraccia dell'opposizione - ha commenta a caldo il presidente del Consiglio mentre abbandonava Montecitorio - che ha sbagliato i suoi calcoli mettendo in atto i vecchi trucchi del più bieco parlamentarismo e offrendo una immagine su cui gli italiani rifletteranno». Ci sono i voti recuperati in extremis. Con la nomina di Pino Galati si sono recuperati i Cristiano popolari di Mario Baccini, tre voti riacquistati. La promozione di Aurelio Misiti e Catia Polidori ha fatto recuperare altri due voti che potevano essere dati incerti. Procede il premier. Adesso prova il rilancio. Ovviamente sarà tutto più difficile. Intanto perché il presidente della Repubblica, che Berlusconi incontra per una quarantina di minuti, pone un paletto sul nuovo utilizzo a raffica del voto di fiducia. Scrive il Capo dello Stato in una lettera ai capigruppo: il ricorso al voto di fiducia «non dovrebbe comunque eccedere limiti oltre i quali si verificherebbe una inaccettabile compressione delle prerogative delle Camere». Non un termine perentorio, che non sarebbe tra le sue prerogative. Piuttosto un invito. D'altro canto una preghiera analoga fu indirizzata anche a Romano Prodi quando si barcamenava con i limitati voti, quella volta al Senato, della scorsa legislatura. I passi sembrano essersi ripercorsi anche se i protagonisti e i luoghi nel frattempo sono cambiati. Allo stesso tempo però il presidente della Repubblica concede al capo del governo una sorta di lasciapassare: «Non ho ritenuto che vi fosse un obbligo giuridico di dimissione a seguito della reiezione del Rendiconto» ma era «necessaria una verifica parlamentare della persistenza del rapporto di fiducia, come lo stesso presidente del Consiglio ha fatto». L'incidente dunque è chiuso. Ma la partita resta aperta. Al Colle si attendono adesso da governo e maggioranza una approvazione della legge di Stabilità finanziaria, varata dal Consiglio dei ministri giusto nel pomeriggio tra il voto di Montecitorio e la salita al Quirinale di Berlusconi. E non solo. Napolitano aspetta senza indugi anche il decreto Sviluppo, annunciato più volte addirittura era previsto al traguardo già questa settimana. E tutto è stato rinviato. Non sarà un testo che lascerà indifferenza al Quirinale. Tutt'altro. Poi c'è il capitolo nomina del successore di Mario Draghi alla Banca d'Italia, capitolo scottante che finora ha diviso pesantemente il governo. Mancano due settimane all'addio dell'attuale governatore, che andrà a prendere la guida della Banca centrale europea. Napolitano vorrebbe decidere presto, vorrebbe che si chiudesse il balletto dei nomi che gira sui giornali con considerazioni che sul Colle si giudicano persino grottesche. Per Berlusconi, al contrario, «non è necessario accelerare», le possibilità in campo «sono tante» e il governo «cercherà di uscire dai tempi della decisione entro la data del primo di novembre». Chissà se per quella data il governo sarà ancora in piedi e soprattutto in che condizioni sarà «per poter operare».

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