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E a noi non manca il vecchio Prodi Adesso l'Italia può calare gli assi

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Soprattuttoper le sue modalità, visto che una banca centrale sovranazionale dovrebbe di per sé sostenere i titoli pubblici dei singoli Paesi - che, non dimentichiamolo, sono anche i suoi contributori e finanziatori - almeno quando questi titoli sono palesemente sotto tiro della speculazione, com'è accaduto ai nostri Btp e come continuano a ripetere le stesse autorità europee. L'Italia, pur con tutti i suoi difetti, non ha le mani bucate e le clientele diffuse come la Grecia, né ha puntato forsennatamente sulla finanza come l'Irlanda. E tuttavia quanto questo pronto soccorso più o meno interessato sia riuscito ad evitarci il baratro lo abbiamo sperimentato nelle ultime ore. Domenica scorsa gran parte del Paese, non solo a livello di classe dirigente, ha vissuto con il fiato sospeso l'attesa delle decisioni dei signori dell'Eurotower. E quando finalmente si sono mossi, ha tirato, ieri mattina, un grande sospiro di sollievo. Cento punti in meno nello spread tra Btp e Bund ci mettono per ora al riparo e fanno risparmiare svariati miliardi al Tesoro sulle future emissioni. Non solo. Bisogna anche considerare che i problemi di Italia e Spagna sono stati fagocitati, con tutta la loro relatività, dalla ben più drammatica crisi degli Usa. Detto questo, il commissariamento presenta per l'Italia, e per il premier Silvio Berlusconi, alcune opportunità e un paio di problemi. Le opportunità sono costituite da un'agenda di misure che ci viene sostanzialmente dettata da frau Merkel (cui si è servizievolmente accodato Sarkozy) e dalla business community tedesca: misure, però, che avremmo dovuto prendere comunque. Parliamo soprattutto del completamento della riforma delle pensioni, che non può essere rinviato al 2030; delle modifiche al mercato del lavoro; delle liberalizzazioni e dell'accesso alle professioni; soprattutto di quello scandalo che in Italia è l'assistenza e che si traduce per esempio nel record di pensioni di invalidità elargite a persone che magari guidano una Porsche. Dubitiamo che il Cavaliere e Tremonti senza il pungolo europeo avrebbero affondato il bisturi dove c'è bisogno. Che in altri termini sarebbero passati dai consueti tagli lineari alla spesa pubblica ad interventi mirati, necessari, urgenti. Lo stesso anticipo del pareggio di bilancio e soprattutto il vincolo costituzionale a mantenerlo è una misura da paese serio, e l'avvio di una buona disciplina della cosa pubblica etica, prima ancora che contabile. Per questo la sinistra che strepita per «vedere che cosa chiede in cambio la Bce» dovrebbe avere il pudore di starsene zitta. Il Pd sa benissimo che cosa occorre fare in Italia, e se la memoria non ci inganna quando entrammo nell'euro, e quindi accettammo di condividerne oneri e onori, al governo c'era un certo Romano Prodi. Altra cosa che la sinistra sa bene, per averla nel proprio Dna, è che l'alternativa alle riforme di cui sopra è solo una: la patrimoniale. E quando Bersani dice «giù le mani dal welfare», non vorremmo che pensasse appunto alle pensioni d'invalidità i cui picchi sono da ricercarsi nelle Regioni rosse, come l'Umbria. Ma forse il vero timore del Pd, e in particolare della sua ala che ha avuto finora come unico disegno politico il TTB, «tutto tranne Berlusconi», è che quello che Mario Monti, sul Corriere della Sera, ha definito il «podestà straniero» finisca per rafforzare il Cavaliere, stabilizzandolo al governo fino alla scadenza naturale del 2013. Si tratta di una prospettiva che scongiura le spallate politiche e mediatiche su cui la sinistra aveva giocato tutte le proprie carte. Adesso da quelle parti bisogna cambiare strategia: o meglio, darsene una, vera. Il commissariamento, più o meno soft, non autorizza però Berlusconi e il suo governo a campare di rendita, né tanto meno a tirare a campare. Il pilota automatico europeo per prima cosa non dovrà autorizzare questo o quel ministro, questo o quell'esponente della maggioranza, a nascondersi dietro al paravento della Bce o di Bruxelles. Per troppe volte abbiamo sentito ripetere «ce lo impone l'Europa». Bene, ora che l'imposizione è diventata a sua volta l'unica valvola di salvezza, si abbia l'onestà di guardare in faccia la situazione, e soprattutto di presentarla con chiarezza agli italiani. Ma soprattutto ci sono due cose che l'Europa non ci impone, e che il governo ha invece il dovere di fare. La prima sono i tagli alla politica. Che fine ha fatto il livellamento dei compensi di deputati, senatori, consiglieri, assessori, alla media di Parigi, Berlino e Madrid? Stessa cosa per pensioni, vitalizi, auto blu e quant'altro. Sappiamo benissimo che non si tratta di voci imponenti nel bilancio pubblico. Ma la loro importanza cresce a dismisura agli occhi dei cittadini se dovremo andare a toccare le pensioni della gente comune e ridurre qualche garanzia dai contratti di lavoro. Ancora: le Province. Nel recente intervento di Berlusconi in Parlamento abbiamo captato progetti di accorpamenti e simili. Bene, non alziamo cortine fumogene e non tiriamola per le lunghe: le Province vanno eliminate, punto e basta. La seconda cosa che l'Europa non ci ha chiesto - e non ce l'ha chiesta perché non l'ha chiesta neppure a se stessa - è di agire contro gli speculatori. È vero che il fenomeno è globale e che un paese, da solo, non può fare molto. Ma è altrettanto vero che il nostro sistema fiscale e giudiziario, quando vogliono, sanno darci dentro al limite della persecuzione. Un po' meno di inchieste farlocche e più manette per chi gioca con i nostri risparmi: anche questo non ci stancheremo di ripeterlo. Se il Cavaliere ed i suoi lo capiranno, forse riusciranno a uscire da questo agosto di fuoco avendo fatto di necessità virtù. E magari guadagnando qualche punto di consenso. Diversamente sarà stato davvero un puro e semplice commissariamento.

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