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I compagni non sono migliori di Penati

Pierluigi Bersani

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Dobbiamo molto a Filippo Penati, e sarebbe ingeneroso non riconoscerglielo. Mi spingo oltre: il cielo salvi quest'uomo, nel quale s'incarna il cuore stesso del Partito Democratico e del suo segretario, perché con la sua vicenda segnala il dramma evolutivo di un partito che fatica a conoscersi a valutarsi per quel che è. Quindi, sgomberiamo subito il campo dalla questione penale, perché a noi garantisti doc preme, prima di tutto, ribadire quel che ci sembra ovvio: lui è un innocente, per me è innocente, almeno fin quando un processo, con sentenza definita, non avrà dimostrato il contrario. E ora veniamo alle questioni politiche. La prima è relativa alla vicenda per cui oggi è sospettato, ma che ha una strana caratteristica: la conoscevamo tutti. Tutti, ma proprio tutti, sapevamo che la provincia di Milano aveva comperato azioni autostradali da un imprenditore, Marcellino Gavio. Tutti, oggi, ragionano su quanto è stato pagato e sulla favolosa plusvalenza ottenuta da quel privato, il quale, ma sono solo i casi della vita, subito dopo si ritrova al fianco delle coop e assicurazioni rosse nelle scalate bancarie. Ma il punto realmente interessante non è il malloppo, bensì l'affare in sé. Ditemi: perché in un mondo in cui non si fa che parlare d'abolizione delle province quella di Milano diventa proprietaria di un'autostrada? Perché il capo della segreteria del liberalizzatore Pier Luigi Bersani, l'uomo delle lenzuolate (e lo scrivo senza ironia alcuna, perché mi espressi in suo favore), mette in atto un'operazione di segno diametralmente opposto? Il punto, allora, non è se il protagonista e il suo dante causa fossero, o meno, a conoscenza del marcio, ma se fossero in grado di capire quel che stavano facendo e come questo si concilia con quel che, ora, vanno dicendo. La vicenda penale avrà il suo corso, che spero sia veloce e non preveda di dovere condurre in galera preventiva questo o quello. Tutto quello che c'è da sapere lo sappiamo. Ma quella pubblicamente rilevante è la faccenda politica, l'uso del denaro dei cittadini, un'amministrazione che non investe per fare un'autostrada, ma per comprarla già pronta e premiare il rischio (ammesso che sia stato tale) corso da un imprenditore. Mettiamo, per puro amore del ragionamento, che Penati sia effettivamente responsabile di avere maneggiato soldi impropri e che, con quelli, abbia finanziato il suo partito, o la sua corrente, o gli amici suoi. È un reato, una brutta cosa. Ma infinitamente migliore, imparagonabilmente meno grave di quel che facevano gli stessi protagonisti almeno fino al 1991, ovvero finanziarsi con soldi sporchi di sangue, provenienti da una potenza politica e militare nemica dell'Italia e dalla libertà. Prendere soldi, o reclamarli quale tangente, è comportamento riprovevole, ma nella scala dei disvalori è un peccatuccio veniale, rispetto a quelli commessi dalla generazione dei comunisti che pretendevano d'essere onesti e migliori, Enrico Berlinguer compreso. I reati di Penati, ammesso che esistano, quelli presupposti dall'accusa, sono interni al mondo democratico e occidentale. I crimini commessi dai suoi padri e fratelli restano infamie contro la dignità umana, compartecipazione all'aggressione e connivenza con una dittatura sanguinaria. Non vorrete mica fare paragoni? Quindi, vada al compagno Penati il nostro affettuoso pensiero, l'auspicio che i processi dimostrino la sua totale innocenza, la convinzione che, in ogni caso, egli è migliore di quelli che pretendono di dargli lezioni.

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