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L'illusione del Paese di Bengodi

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seguedalla prima di MARIO SEMINERIO (...) non si arresta, il Giappone continua a sfidare la forza di gravità del piombo che ha nelle ali da oltre un ventennio, il cambio del dollaro. Poi via, verso l'ufficio. Terminali accesi, un rapido sguardo ai giornali italiani e (soprattutto) esteri, per annusare l'aria prima del morning meeting. Sulla stampa italiana, le solite stanche litanie: cosa farà il partito del premier, cosa farà la Lega, le cacofonie di Bossi che sfoglia la margherita: «galera, garantismo, galera, garantismo». Gli immancabili editoriali nostrani, basati sul nulla, e sui respiri dei capobastone partitici. Cosa farà Tizio? E Caio, riuscirà a raggiungere quella poltrona a cui tanto ambisce? Il nostro gestore scorre sempre più infastidito i giornali. Parlano di «risultati lusinghieri» per la nostra economia, di sistema finanziario «promosso a pieni voti», legge un quadro idilliaco, e scuote la testa. La verità è che il Paese in cui vive e lavora il nostro gestore ha smesso di crescere da almeno un quindicennio. E la resa dei conti, prima o poi, arriva. Questo è un tema che dovrebbe occupare tutte le prime pagine dei giornali e le aperture dei telegiornali, eppure di esso non c'è praticamente traccia, soffocato com'è tra gossip parlamentari e le sempre più numerose rane di Fedro che affollano Palazzo e dintorni. Sconsolato, il nostro gestore apre i giornali finanziari esteri, e trova qualcosa che si avvicina molto alla realtà: l'Italia malato d'Europa, i tedeschi che stanno mettendo a rischio il continente con i loro atteggiamenti ondivaghi, tra volontà punitiva dei Paesi dissoluti (o presunti tali) e salvataggi del penultimo minuto, Trichet che ormai litiga in pubblico con la Merkel. Il nostro portfolio manager va in riunione. Il capo dice «non mi piace questa situazione. Non c'è chiarezza, la manovra italiana non corregge nulla nel 2011 e 2012. In più, Trichet continua a mettersi di traverso con l'haircut della Grecia, i tedeschi non si sa bene che vogliono. Io starei leggero sui portafogli, che dite?» Il nostro gestore cerca di spiegargli che le posizioni sono già state lievemente ridotte nelle settimane precedenti, che la parte di portafoglio investita in liquidità è stata aumentata, e che per il momento non c'è molto altro che si possa fare, perché i mercati sono diventati meno liquidi, e il differenziale tra il prezzo a cui si compra e quello a cui si vende (il bid-offer) si è allargato di recente, quindi si rischia di rompere i prezzi. Ci vuole cautela, per non fare gli elefanti nella euro-cristalleria. «Sì, per me va bene», bofonchia il capo, un personaggio cresciuto nella tradizione del trading, abituato a rapide scorribande e non a tenere posizioni troppo a lungo. La riunione termina, i gestori si avviano alle macchinette del caffè scuotendo la testa. «Ma a te, pare possibile che questi (il governo, ndr) votino una manovra fatta solo di tasse e che aprirà nuove voragini da qui a pochi mesi, e non facciano nulla per la crescita, le liberalizzazioni, i mercati? Ma si sono bevuti il cervello?» «Che vuoi fare», commenta un gestore di lungo corso che ne ha viste tante, «quando la casa brucia, non ti poni troppe domande, e tenti di spegnere l'incendio con quello che hai a portata di mano». «Sì, ma così facendo rischi di provare a spegnere l'incendio con una tanica di benzina!» I mercati sono aperti, nervosi e cedenti. Le vendite concordate col capo iniziano, ma l'ordine è di procedere molto lentamente, senza forzare i prezzi, visto che il mercato assorbe con molta fatica. A metà mattina, arriva l'immancabile telefonata del presidente del consiglio di amministrazione. Vuole capire come vanno le cose, e cosa deve dire al giornalista che gli chiede un parere. «Gli dica che siamo fiduciosi sulle istituzioni europee, e che non c'è panico», gli suggerisce al telefono uno scocciatissimo direttore degli investimenti. «E che palle, ma questi dove vivono, di solito? Al golf club o dove? Non lo vedono che c'è un casino che metà basta?» «Eh, lo so, ma sai, la politica...», replica il vecchio saggio di lungo corso. «Che vadano al diavolo. Cominciamo a comprare corone svedesi, dollari canadesi e franco svizzero, cambio aperto. E tenete comunque alta la liquidità», replica il direttore investimenti. A metà pomeriggio le agenzie battono il proclama di un esponente della maggioranza contro «gli speculatori», quella entità mitologica a cui ogni politico che sta affogando ricorre come capro espiatorio d'ordinanza. «Certo, gli speculatori. Non sanno che facendo così noi pariamo il fondoschiena ai risparmi suoi e di quelli come lui», replica acido il direttore investimenti. L'America ha aperto, tiene bene, come spesso le accade, malgrado tutto. Le vendite programmate di titoli di stato italiani sono andate a buon fine, senza troppi strappi al ribasso dei prezzi. Domani si ricomincia, sperando di svegliarsi e scoprire che la cappa di piombo che avvolge il Paese si sia magicamente dissolta nel corso della notte. Ma queste sono le fiabe che il nostro gestore racconta ai suoi bimbi. Un vero peccato che non ci sia nessuno disposto a raccontarle a lui. Si addormenterebbe pacioso, ed eviterebbe di stare sveglio la notte, guardando come sta andando l'Asia, in attesa di spiegare il giorno dopo al presidente del consiglio di amministrazione, che «siamo fiduciosi nelle istituzioni europee, e non c'è panico». Altra fiaba, senza lieto fine.

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