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Sulla riforma fiscale la Lega scuote Giulio

I ministri Roberto Maroni e Giulio Tremonti

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La riforma del fisco si deve fare, come promesso agli elettori del centrodestra, ma nessuno pensi di finanziarla con nuovi debiti. Tremonti, all'assemblea dei Giovani imprenditori di Confindustria, fissa i paletti per mettere mano al cantiere tasse.  Si può fare tutto, spiega il responsabile del dicastero di Via XX settembre, tranne una cosa: accendere nuovi debiti per finanziare i tagli delle aliquote che gravano su salari e pensioni. Un altolà preciso a chi intende dare a tutti i costi, senza fare i conti con il bilancio, il segnale agli elettori che le promesse di un fisco più leggero non resteranno lettera morta. Una avvertimento che arriva per una ragione precisa che supera il recinto nazionale. «I fattori di instabilità e di crisi che si sono manifestati tre-quattro anni fa sono tutti in essere. Il tempo della prudenza non è finito» chiosa Tremonti. Che non lo dice espressamente ma che già percepisce le dita dei tecnici delle principali agenzie di rating del mondo, quelle che con il loro giudizio danno il voto all'affidabilità di un debitore, pronte a tracciare sui loro report un tratto di penna per abbassare il voto al debito sovrano italiano. Sarebbe l'inizio di una tempesta che può mettere a dura prova il bastimento Italia. Sulla cui tenuta, a quel punto, il dubbio sarebbe lecito considerato che il mare è già fortemente increspato dallo stato di crisi in cui versano le finanze greche, portoghesi e irlandesi. Senza il rigore imposto finora dal ministro dell'Economia, e oggi contestato, il costo del rifinanziamento del debito italiano sarebbe stato molto più oneroso. La diga eretta da Tremonti con la messa in sicurezza dei conti, approvando anticipatamente il bilancio dello Stato, e bypassando la costosa giostra dell'assalto alla diligenza della Finanziaria, ha evitato il peggio. Questo lo sanno tutti oggi. Anche l'uomo della strada è conscio che si rischia di fare la fine della Grecia. È più diffusa di quanto sembri, infatti, la consapevolezza che dall'altra parte dell'Adriatico la situazione non sia delle migliori e che un possibile default di Atene rischi di trascinare nel gorgo anche i paesi più vulnerabili, come l'Italia, che ha retto finora l'onda d'urto della crisi ma che sconta il peso di un debito pubblico di 1800 miliardi di euro, che viaggia verso il 120% del Pil. Un insieme di fattori che consigliano prudenza perché i mercati non stanno a guardare passivamente. Così il «warning», il monito che lancia il responsabile del Tesoro, sulla riforma fiscale che sta tanto a cuore al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è chiarissimo: «Non la possiamo fare in deficit, non possiamo fare una riforma che crea deficit». «Dobbiamo trovare i soldi senza scassare i conti - spiega il ministro che di fisco parla anche all'arrivo, in un colloquio riservato con la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia - perché ci porterebbe ad aumentare i tassi di interesse e di conseguenza ad alzare le tasse. Abbiamo un'enorme base di evasione fiscale che oggettivamente è un grosso serbatoio, il suo recupero può servire per la riduzione della pressione fiscale. Il dividendo va messo su giovani e anziani». Ma Tremonti ribadisce anche un altro concetto che una buona parte degli italiani ha già messo in conto se la sinistra tornasse al governo. E cioè l'arrivo della patrimoniale. Il ministro sgombra il campo da ogni possibile intervento sulla proprietà degli italiani: «Io sono un po' all'antica, non ho intenzione di tassare la prima casa e il risparmio delle famiglie». Il finanziamento del taglio delle tasse parte oggi da più campi. Per ora i tecnici stanno studiando l'innalzamento delle aliquote Iva «per trasferire la tassazione dalle persone alle cose» e l'abbattimento della «Torre di Babele» delle esenzioni fiscali: «si tratta di 470 deregulation che cubano 150 miliardi di euro». Nulla di nuovo secondo Giulio Tremonti. Sulla riorganizzazione del fisco «è tutto scritto - ricorda il ministro - a pagina 6-7 del Programma nazionale di riforma. Non pretendo sia un best seller da tenere sul comodino - aggiunge con una battuta - ma lì c'è già scritto tutto su tempi e numeri». Anche se tra gli economisti del suo pensatoio non mancano altre ipotesi come il taglio di spese da classificare come inutili o come duplicazioni e l'utilizzo dei risparmi con un doppio binario: una parte per ridurre il deficit e un'altra tranche per tagliare le imposte. Il caso di scuola è la soppressione delle province che a regime varrebbe circa 15 miliardi, una somma nella quale pescare quei 10 circa necessari a finanziare la riduzione delle aliquote applicate ai redditi più bassi. Un taglio quello delle province già nel programma del Pdl e osteggiata in corso d'opera dalla Lega Nord. Per questo non è difficile prevedere che anche questo sarà un punto della verifica dei rapporti tra Pdl e Carroccio. Una puntura arriva anche agli industriali, ai quali Tremonti rivolge prima un invito «a continuare a sognare» e poi chiede che si metta un limite all'uso eccessivo della flessibilità perché c'è stato «un abuso dei contratti a termine». Il nostro sistema produttivo - osserva - sarebbe più moderno se fosse più aziendale nella contrattazione e, per compensazione sociale, meno arbitrario nella sequenza del tempo determinato. Servirebbe un limite a quegli strumenti contrattuali, un conto è la flessibilità e un conto è l'abuso». A essere penalizzati sono i giovani. Quelli ai quali si rivolge anche il presidente del'Eni Giuseppe Recchi «Essere giovani non è una qualità che garantisce occasioni, ma è un'opportunità di presentarsi alla sfida del mondo con più energia» dice il presidente dell'Eni che più in generale dice: «Avremo un posto nel futuro se troviamo il gusto del primato e dell'eccellenza».

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